Psicologia del caffè

Alla sua conferenza annuale di Seattle, avvenuta la settimana scorsa, Starbucks ha reso noto il suo piano di crescita negli Stati Uniti: il colosso del caffè take-away e non solo ha presentato un piano di crescita ambizioso, che prevede un’implementazione dei prodotti per gli utenti ed in particolare l’aggiunta di nuovi caffè istantanei, confezioni monodose di caffè e macchinette per il caffè, che saranno a breve disponibili non solo presso le caffetteria monomarca, ma anche presso i grandi magazzini, le drogherie e dei negozi abilitati.

In programma da Aprile è anche il lancio di una linea di Energy drink realizzati con succhi di frutta aromatizzati al caffè non-tostato; in campo internazionale invece la compagnia punta all’ampliamento del mercato cinese, che sarà il secondo più grande mercato della catena, fuori dagli USA, con circa 1500 punti vendita.

Certamente il gesto del bere una tazzina di caffè al mattino o dopo i pasti è diventato un atto quasi inconscio, visto da alcuni come uno strumento automatico per ricaricarsi e per avere la spinta in più per continuare l’intensa attività mentale e fisica che una giornata richiede, da altri come un momento di goduria, breve ma inebriante.

Eppure nella società americana dei Coffee-addictcs c’è anche un esiguo numero di persone che rimangono immuni al fascino degli immensi Starbucks Stores, e che infatti non bevono assolutamente caffè; anche nel nostro Paese, dove il caffè fa parte della tradizione culinaria italiana, vi sono alcune persone che non possono soffrirne l’odore né il sapore, e adducono a questa loro intolleranza verso la caffeina, motivazioni che esulano da prese di posizione moralistiche o salutari, e che sono squisitamente sensoriali.

Su questo argomento si sono fatti degli studi sia a livello chimico, per analizzare le componenti presenti nel caffè che potrebbero causarne un rigetto da parte di alcuni individui, sia a livello antropologico; le macchine per il caffè producono una bevanda che se non zuccherata è estremamente amara ed infatti in natura la caffeina- elemento che ne determina appunto il gusto amaro- è un pesticida naturale che protegge le piante del caffè dall’attacco degli insetti; non a caso, secondo quella che è la logica legge della natura, i ricettori del sapore amaro che si trovano nella lingua umana, in origine servivano appunto ad evitare che ingerissimo veleno.

La spiegazione al fatto che moltissime persone adulte abitualmente consumino caffè, nonostante tutti da piccoli lo detestino, è da ricercarsi nelle leggi dell’antropologia: da bambini tutti associamo il caffè all’essere adulti, dato che ogni mattina o dopo i pasti, vediamo che la maggior parte degli adulti, compresi i nostri genitori, lo fanno; in un secondo tempo si aspira ad emulare i fratelli maggiori o i ragazzi un po’ più grandi, che hanno già sostituito i succhi e la soda con il cappuccino espresso, fino ad arrivare alla maggiore pulsione per l’emulazione, nel momento in cui anche i coetanei lo fanno.

L’arcano quindi lo svela totalmente l’opinione di Leon Rappoport, autore di “How we Eat: Appetite, Culture and the Psychology of Food” che sostiene che il bere caffè produce nei ragazzi giovani un senso di autostima che riduce il tipico senso di insicurezza giovanile nei confronti del mondo degli adulti.

Articolo a cura di Serena Rigato
Prima Posizione Srl- comunicazione digitale

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