Psicologia del Business Cycle: Perchè i Boom Economici Non Ci …

In che modo le fluttuazioni macroeconomiche del business cycle – in riferimento alla produzione aggregata, il commercio e le attività di un’economia di mercato – influenzano il nostro benessere individuale? La più celebre risposta a tale domanda fu fornita nel 1987 dall’economista americano Premio Nobel Robert Emerson Lucas [1], il quale, per primo, suggerì che i costi del ciclo economico in termini di consumi fossero pressoché nulli, inaugurando così l’inizio di una moderna era in cui le politiche di sviluppo vengono valutate sulla base di “quanto”, piuttosto che “come”, le economie siano cresciute.

Tuttavia, nella letteratura ad oggi disponibile, l’impatto che diverse traiettorie di crescita – esse siano altamente volatili o più regolari – possono avere sulla psicologia del homo economicus non è mai stato investigato in dettaglio, per quanto questo rimanga uno fattori maggiormente percepiti dalla popolazione. Oggi, una nuova ricerca [2] condotta da Jan-Emmanuel De Neve e Michael Norton, rispettivamente professori di economia alla London School of Economics e ad Harvard, cerca di gettare una nuova luce sulla relazione esistente tra i livelli di “soddisfazione per la vita” e le oscillazioni dei cicli economici.

Guardando a quattro decenni di dati – raccolti in più di 150 paesi nel globo, includendo i dataset forniti dal Centers for Disease Control – i due hanno individuato delle significative asimmetrie nel modo in cui gli individui sperimentano fluttuazioni economiche positive e negative. In particolare, il grado di soddisfazione per la propria vita è risultato tra le due e le otto volte più sensibile ad una crescita negativa rispetto ad una positiva – ossia gli individui non beneficiano psicologicamente dalle espansioni economiche tanto quanto soffrono in tempo di recessione.

Quella che De Neve definisce come la “storia che non viene raccontata della recessione”, sembra essere il corrispettivo macroeconomico di un altro principio che vige dagli anni ’80, grazie al contributo di Kahneman e Tversky, nella microeconomia: l’avversione alle perdite – ossia la tendenza umana a percepire maggiormente le perdite dei guadagni. Un caso esemplare, in questo senso, sembra essere, secondo l’analisi dei due economisti, la Grecia: Durante la rapida espansione dell’economia occorsa tra il 1981 ed il 2008, l’indice di soddisfazione è cresciuto dal 5 al 10 percento, mentre, in seguito allo scoppio della recessione, questo è sceso sino ai livelli più bassi mai fatti registrare.

Tale scoperta sembra anche offrire la possibilità di una rivisitazione del lungo dibattito sul rapporto tra crescita economica e benessere e porre fine al controversia che, negli ultimi dieci hanni, ha visto sfatare, difendere, e successivamente sfatare di nuovo, il paradosso di Easterlinnoto anche come “paradosso della felicità”. Concetto chiave nell’happiness economics, il paradosso sviluppato dall’economista Richard Easterlin negli anni ’70 spiega che “nel lungo periodo, l’aumento del reddito non è correlato ad una maggiore soddisfazione” – il vecchio proverbio “i soldi non fanno la felicità”. In questo senso, i due economisti hanno rilevato che “quando si considerano i dati di lungo periodo disponibili per la copertura di un intero business cycle, i rapporti sul benessere non crescono nella maggior parte delle nazioni economicamente sviluppate del mondo, nonostante il loro GDP sia quasi raddoppiato nel corso degli ultimi quattro decenni.”

I risultati raggiunti da De Neve e Norton, quindi, non solo suggeriscono che i policy makers intenti ad aumentare il benessere nella popolazione dovrebbero focalizzarsi maggiormente sulla prevenzione dei periodi recessivi, piuttosto che spronare insistentemente la crescita, ma ci offrono una ragionevole spiegazione per cui ad aumenti del prodotto interno lordo non sempre corrispondono aumenti nei livelli di felicità.

[1] Lucas, R (1987), Models of Business Cycles, New York: Blackwell.

[2] De Neve, J-E, G Ward, F De Keulenaer, B Van Landeghem, G Kavetsos and M Norton (2014), “Individual Experience of Positive and Negative Growth is Asymmetric: Global Evidence Using Subjective Well-being Data”, LSE Centre for Economic Performance Discussion Paper No. 1304.

 

 

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