Perché abbiamo bisogno della sorpresa

Dopo aver inventato il cannocchiale, Galileo lo puntò verso il cielo e... sorpresa! Vide che intorno a Giove ruotavano quattro “minuscoli” oggetti, quando si sapeva che tutti i corpi celesti ruotassero intorno alla Terra. L’inattesa osservazione mandò in crisi la teoria tolemaica (con la Terra al centro di tutto) e fece andare in prigione Galileo, perché all’epoca le sorprese in campo scientifico non erano molto apprezzate: rischiavano di minare le convinzioni religiose.

 

D’altra parte, come ricordava lo storico della scienza Thomas Kuhn, “molte importanti scoperte nascono dalla presa di coscienza di un’anomalia”. Per questo è importante avere la capacità di lasciarsi sorprendere: la serendipità, cioè la scoperta di qualcosa di imprevisto mentre si sta cercando tutt’altro, richiede la flessibilità di lasciarsi trasportare dalla sorpresa. Alexander Fleming dimenticò di distruggere le colture batteriche su cui stava lavorando e, al ritorno da una vacanza, notò che erano state aggredite da una muffa del genere Penicillium. Fleming ne fu sorpreso, ma indagò, e scoprì le proprietà antibiotiche della penicillina.  

 

Cervello programmato. Per capire l’importanza di quella muffa ci voleva un genio, ma ogni essere umano si sarebbe accorto che era successo qualcosa di imprevisto. Perché il nostro cervello è programmato per attivarsi di fronte alle novità, una capacità alla quale probabilmente dobbiamo il nostro successo come specie. Pensate a un tragitto che fate tutti i giorni: sapreste dire di che colore è il terzo palazzo che incontrate sulla destra? Probabilmente no. Ma è sufficiente che venga tagliato un albero per avvertire che qualcosa è cambiato e per metterci in allarme. Lo stesso avviene per i suoni: non ci accorgiamo di rumori ambientali costanti, come quello del frigorifero, ma notiamo se cessano.

 

Occhi aperti, bocca aperta. Ai primordi della specie, ogni sorpresa poteva rivelarsi una minaccia (un predatore) o un’opportunità (una preda). Tant’è che l’espressione di sorpresa (vedi foto sotto) comprende un rialzarsi delle sopracciglia e uno spalancarsi degli occhi per allargare il campo visivo, e l’apertura della bocca (il “restare a bocca aperta”) per garantire una respirazione profonda e facilitare lo sforzo muscolare in caso di fuga.

 

«L’attenzione alle novità ha quindi un’origine biologica, perché aiutava a sopravvivere, ma il nostro cervello è attratto dalle novità anche quando siamo perfettamente al sicuro» spiega Valentina D’Urso, docente di Psicologia generale all’Università di Padova. E aggiunge: «È come se fossimo costruiti per essere sorpresi». E infatti tutti noi cerchiamo attivamente le sorprese attraverso la lettura, andando al cinema, scoprendo nuovi locali, raccontandoci barzellette, sognando posti esotici per le vacanze. Ma senza esagerare, come rilevò per primo lo psicologo canadese Donald Hebb: stimoli che si discostano troppo dalle esperienze abituali risultano fastidiosi, perché sovraccaricano le nostre energie psicofisiche e ci stressano.

 


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Uguali per tutti. La capacità di sorprendersi inizia molto presto. Già a 3 settimane i bambini reagiscono alle novità: se li si abitua a vedere una serie di figure geometriche e poi se ne inserisce una nuova, il loro cuore batte più velocemente. L’emozione di sorpresa è considerata dagli psicologi americani Ekman e Frie­ser una delle 6 fondamentali (con tristezza, rabbia, felicità, paura e disgusto): sono identiche in ogni cultura umana. «Le altre emozioni sono influenzate dalla cultura e derivano dalla combinazione di due o più emozioni primarie, ad esempio la gelosia è un insieme di rabbia e tristezza» spiega D’Urso. Uno studio della Vanderbilt University ha rivelato inoltre che le sorprese ci rendono “ciechi” verso il resto: gli stimoli inaspettati assorbono totalmente la nostra attenzione, tanto da impedirci di cogliere altri aspetti dell’ambiente. Alcuni volontari dovevano contare le X in un flusso di lettere su un monitor: se compariva all’improvviso l’immagine di un volto, i soggetti non vedevano più le X perché la loro attenzione era catturata dal nuovo stimolo.

 

Dall’arte alla poesia. L’arte stessa riesce a essere stimolante, a emozionare, solo se sorprende. Per questo il design è sempre alla ricerca di forme insolite e l’arte moderna è così poco figurativa: la riproduzione identica di un volto o di un ambiente oggi non sorprende più, e così gli artisti hanno imboccato strade non figurative. Dai visi scomposti di Picasso agli orologi molli di Dalì agli oggetti fluttuanti di Magritte, l’arte del ’900 ha trovato altri modi per stupire. E lo stesso vale per la poesia: “È del poeta il fin la meraviglia” scriveva Giambattista Marino .

 

Il business dell’inatteso. Ma il piacere dell’inatteso è sfruttato anche dal business. Così la pubblicità crea effetti shock, come nelle campagne di Oliviero Toscani per Benetton, e il marketing solletica la curiosità con regali di cui non si conosce il contenuto: la fortuna degli ovetti Kinder è nata con l’idea delle sorpresine. E a proposito di uova, chi non è disposto a pagare il cioccolato molto più caro del normale, pur di avere il brivido di scoprire che c’è nell’uovo di Pasqua?

 


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La sai l’ultima? Infine, non vi sarebbe humor senza sorpresa: qualunque barzelletta, dalla battuta più volgare alla freddura più arguta, fa ridere solo nel momento dell’inatteso colpo di scena finale: e quanto più una battuta è inattesa e capace di farci vedere le cose in modo totalmente diverso, tanto più la risata che ne segue è fragorosa.

 

Solo un attimo. La sorpresa è anche l’emozione più breve: dura solo una frazione di secondo. Subito dopo il cervello inizia l’analisi dell’evento e, in base al risultato, passa a un’altra emozione: felicità, paura, tristezza... «Quasi ogni emozione nasce da una sorpresa, perché implica che abbiamo colto qualcosa di nuovo e rilevante. Si può affermare che l’emozione di sorpresa è il presupposto di tutte le altre» spiega la D’Urso. Per decidere quale emozione seguirà alla sorpresa entra in gioco l’amigdala, un’area a forma di mandorla che si trova alla base del cervello. È proprio per questo che gli eventi emozionanti si ricordano di più, «perché l’amigdala è implicata sia nell’elaborazione delle emozioni sia nell’archiviazione dei ricordi». È per questo che una sposa, vent’anni dopo la solenne cerimonia, ricorda solo quel drammatico istante in cui la fede sembrava non entrarle nel dito.

 

Brutte sorprese. La rottura della prevedibilità c’è anche in caso di situazioni drammatiche. Ed è proprio il rischio che la sorpresa sia brutta ad aumentare il piacere che si prova quando invece la situazione è positiva: è il meccanismo paura/sollievo usato nelle montagne russe, nelle case stregate e perfino nei film horror. Nessun sollievo è previsto invece quando si riceve un regalo poco azzeccato, eppure l’eventualità è frequente. E ha perfino una spiegazione scientifica: una serie di studi condotti ad Harvard e Stanford ha svelato che quando facciamo un regalo vorremmo sorprendere (a costo di deludere), mentre quando lo riceviamo speriamo di ricevere ciò che abbiamo chiesto (e al diavolo la sorpresa).

 

Il finale che ribalta tutto. In un’opera letteraria o cinematografica il finale non è tutto, ma conta parecchio. Nei migliori casi, permette di rivedere in un attimo l’intera narrazione sotto una luce completamente diversa. Ma la passione per i finali a sorpresa dipende dalla personalità: chi ha un basso livello di autostima  preferisce veder confermati i propri sospetti, mentre chi ha un’autostima maggiore si diverte di più quando viene colto di sorpresa. Lo rivela una ricerca dell’Ohio State University e dell’Università di Hannover, nella quale si è notato che gli studenti con alta autostima preferivano storie costruite per stupire, e viceversa. «Credere di aver sempre saputo chi ha commesso il crimine fa sentire più intelligenti» spiega la psicologa Silvia Knobloch-Westerwick, che ha condotto lo studio.

 

Un consiglio. Per concludere, un suggerimento di Valentina D’Urso: «Sarebbe bene non distrarsi dopo aver avuto una sorpresa, per non disperdere il momento: dopo le brutte sorprese per riceverne un insegnamento, e dopo quelle belle per assaporarne il piacere e apprezzare di più la vita».

 

Margherita Zannoni per Focus

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