Parlare di morte ai bambini

di Roberta Mancini*

Cari lettori e lettrici, ben trovati. All'argomento di questo mese ho anteposto una riflessione e un trattamento particolari data la delicatezza e, se vogliamo, l'intimità del tema che affrontiamo.

Ogni bambino, abitante del suo mondo dorato e benefattore, si trova suo malgrado, ad un certo punto della sua vita, a fronteggiare situazioni che sono proprie pressoché del mondo adulto ma che, con le dovute accortezze, vanno esposte anche ai più piccoli.

La morte come tematica generica, compimento naturale del percorso biologico e quella di una persona cara (nello specifico) rappresentano spesso istanze difficili da spiegare e concretizzare con i propri figli. Modi e tempi prescritti probabilmente non esistono, né rientra nel vademecum del buon genitore, a mio parere, una pratica giusta o meno della perdita. Ogni aspetto va considerato in relazione all'entità del lutto ed al contesto familiare ma in linea di massima, per quanto è strettamente legato alla parte generica non bisogna angosciarsi. «In realtà non è necessario mettersi a tavolino e credere di dover affrontare l'argomento.

I bambini sviluppano precocemente l'idea della morte; fino a circa tre anni di vita si tratta di un'idea di fine reversibile, ovvero di una situazione non definitiva. Dai quattro anni circa invece, si può iniziare a parlare di concezione irreversibile e quindi non temporanea. Si pensi, tra l'altro che la maggior parte degli spunti per intervenire è fornita dalla stessa realtà che il bambino vede o tocca con mano; l'insetto che calpestiamo, i film di animazione che molto spesso hanno inizio con un protagonista orfano di uno o entrambi i genitori.» Ad inquadrare la questione dal punto di vista (fondamentale in questo caso) della psicologia del bambino è la Dottoressa Gabriella Paluzzi, psicologa e psicoterapeuta esperta in Psicologia dell'età evolutiva, che ringrazio anche pubblicamente per il suo supporto professionale. Nel caso specifico della scomparsa di una persona cara le cose evolvono sicuramente su un piano differente «perché il genitore subisce una condizione di doppia angoscia, la propria e quella destata dalla paura di far soffrire i suoi figli. Spesso si tende a ritardare la notizia per rallentare questo processo. Ma come testimoniano molti studi psicoanalitici condotti sulla questione, la comunicazione dell'evento deve avvicinarsi il più possibile alla verità. La mistificazione della realtà può infatti danneggiare gravemente il lavoro di elaborazione del lutto; l'idea di proteggerli in modo eccessivo non permette ai bambini di scendere a patti col dolore stesso. A tal proposito - spiega la Dottoressa Paluzzi - ciò che va evitato, respinto nella maniera più assoluta è il silenzio. I piccoli hanno bisogno che i genitori facciano da contenitore alle proprie emozioni, al loro dolore personale in modo da non confondere la realtà con quel mondo di fantasie errate in cui possono incorrere, come per esempio quella di attribuirsi la colpa per quanto accaduto a causa di un comportamento scorretto. L'unità familiare diventa essenziale in questo contesto».

Certo è che i genitori non devono sentirsi soli nella difficoltà che la fase annunciante di questi eventi porta con se, ma contare sul sostegno del mondo affettivo esterno alla famiglia. Babysitter ed educatrici in primis non devono certamente sostituire ma possono integrare, con il loro lavoro, un soccorso concreto a tale elaborazione. Dopotutto ogni emozione, anche negativa, ha bisogno di essere vissuta senza filtri. La sofferenza, la morte nel suo effetto più estremo, fa parte del mondo infantile anche se vorremmo risparmiarne le dosi. A noi adulti spetta il delicato compito di aiutare il bambino a riconoscerla e a darle un nome.

Poiché ritengo che le parole e le storie siano una cornice e un privilegio di cui ogni bambino dovrebbe beneficiare, in questo caso anche dai libri può giungere un valido aiuto. Al seguente indirizzo potete trovare una lista corposa (formato PDF) di testi per bambini che affrontano il tema di cui abbiamo trattato sotto varie prospettive: www.gruppoeventi.it/Biblio-bambini.pdf

*Roberta Mancini

ha 26 anni ed è stata un'esperta baby sitter. Aquilana doc, è un'educatrice infantile. Si è occupata di assistenza, tutela ed educazione di bambini dai 3 ai 36 mesi. Le principali attività svolte a supporto dei bambini sono state: di tipo grafico-pittoriche, attività manipolative e di tipo motorieHa conseguito il diploma di Liceo delle Scienze Sociali presso l'Istituto d'istruzione superiore 'Domenico Cotugno' di L'Aquila.

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