4 maggio 2012
Le persone che utilizzano un ragionamento di tipo analitico sono meno inclini a credere in presenze soprannaturali e sono meno religiose. Ad affermarlo è un sociologo e psicologo dell’Università della British Columbia, Ara Norenzayan, in collaborazione con Will Gervais, il quale ha dedicato tutta la sua vita professionale al controverso tema del rapporto tra le credenze religiose, la cultura e l’evoluzione.
Il suo studio si inserisce in un contesto di ricerca poco esplorato, nel quale ogni risultato finisce per generare aspri dibattiti tra chi, come appunto Ara Norenzayan, crede che si possano analizzare scientificamente le differenze tra credenti e non credenti, e chi preferirebbe non contaminare il trascendente tema religioso con l’immanentismo scientifico.
Gli esperimenti condotti per questa ricerca hanno una particolarità: se fino ad adesso le indagini sperimentali si sono concentrate sulla ricerca delle basi della fede, questo studio si impegna a cercare le cause dell’ateismo e le sue relative differenze rispetto alla credenza religiosa. Il numero dei soggetti sottoposti all’esperimento può essere considerato veramente esiguo, se rapportato al numero di persone che credono in una qualche religione, ma i risultati, per quanto provvisori, sono davvero interessanti.
I 650 volontari presi in esame, tutti statunitensi o canadesi, sono stati sottoposti a dei test per verificare se l’uso del pensiero analitico influisca sulle proprie credenze religiose. I risultati dimostrano che l’attivazione del sistema cognitivo analitico spegne, temporaneamente, il sostegno alla fede dato dal pensiero intuitivo. Già in studi precedenti, Ara Norenzayan ha messo in evidenza il rapporto tra la credenza nel soprannaturale e il pensiero intuitivo, dimostrando come questo sia chiamato in causa quando si cerca di spiegare le basi cognitive della fede.
La nostra mente, secondo la psicologia tradizionale, lavora su due tipo diversi di pensiero: quello intuitivo e quello analitico. Il primo è un pensiero che si basa su scorciatoie euristiche, che da risposte rapide, basandosi su poche informazioni e in genere serve nei momenti in cui una decisione non può essere presa dopo un attento ragionamento. Il pensiero analitico, al contrario, è una competenza che analizza ogni situazione con criticità, giudica e pianifica le azioni, favorisce risposte più deliberate e razionali. Nessuno dei due può essere considerato superiore all’altro, anzi entrambi lavorano in maniera collaborativa.
L’esperimento si è basato su dei semplici questionari che prima hanno misurato in modo specifico l’uso del pensiero analitico di ogni volontario, successivamente sono state poste loro delle domande sulle credenze religiose o soprannaturali. Per escludere che si trattasse di un risultato casuale, sono stati sottoposti a compiti di problem solving e a situazioni ce stimolano l’uso del pensiero analitico. Anche in questo caso i risultati della prima prova non sono stati smentiti: chi usa maggiormente le proprie risorse analitiche è meno religioso.
I ricercatori rimangono comunque cauti nel commentare i risultati del loro studio: spiegano che il loro obbiettivo non è certo voler screditare o meno le credenze religiose, ma, in un’ottica esclusivamente scientifica, approfondire la questione del perché le persone credono in maniera diversa.
«I risultati dimostrano che abituarsi a esercitare il pensiero analitico potrebbe essere una delle ragioni che porta gli scienziati a essere tendenzialmente dei non credenti», spiega Norenzayan, come riportato sulle pagine del giornale Daily Wired, «di contro, gli aspetti della vita che avvicinano alla religione sono altri: la paura della morte è uno di questi. Di certo, non basta solo un po’ di pensiero analitico per convertire un credente in un ateo».
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Science, e subito ha scatenato un mare di polemiche. Le risposte sono state dure soprattutto da parte di chi ne critica il rigore metodologico e la liceità dei temi. L’Uaar – Unione Atei e Agnostici Razionalisti – accoglie con favore e interesse le ricerche a riguardo, considerando lecito lo studio dei fenomeni religiosi in maniera analoga a qualunque altro fenomeno sociale.
In un articolo, sulle pagine del sito dell’Uccr – Unione Cristiani Cattolici Razionali – le tesi degli scienziati vengono definite odifreddiane, e cariche di menzogna. Se gli autori dello studio non si pronunciano affatto sulla possibilità che la religione possa essere frutto di un ‘cattivo’ ragionamento, il gruppo cattolico, in compenso, grida che queste cautele non serviranno certo ad impedire agli atei di classificare come stupida la gente che crede nella religione.
È interessante notare come, nell’articolo dell’Uccr appena citato, ogni espressione sembri frutto di un ragionamento istintivo e poco riflessivo. Che sia sintomo anche questo di una predominanza del pensiero intuitivo e di un’assenza di quello analitico?
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