Di Milionari si erano perse le tracce dopo l'ottobre del 2014, quando il film di Alessandro Piva venne presentato in concorso a quello che, allora, si chiavava Festival Internazionale del Film di Roma, nella sezione Cinema d'oggi.
Ora, eccolo spuntare nuovamente fuori, con un articolo determinativo in meno, distribuito dalla Europictures (che ne farà uscire 50 copie, 30 delle quali localizzate – guarda un po' – tra Napoli e il resto della Campania), e ri-presentato alla stampa non molto lontano dall'Auditorium di Renzo Piano che lo tenne a battesimo la prima volta: teatro della conferenza stampa del film è infatti il rinnovato cinema Il Caravaggio di Via Paisiello, che dallo scorso mese di dicembre ha riaperto, ristrutturato da capo a piedi, a disposizione del pubblico romano.
Il responso di pubblico e critica, nel 2014, fu altalenante, e chissà cosa succederà adesso che Gomorra – La serie (già tirata in ballo allora), è ancora più sedimentata nell'immaginario degli spettatori.
Sì, perché quella di Milionari è una storia di camorra, ispirata a una realmente accaduta: quella di Paolo di Lauro, raccontata in un libro da Luigi Alberto Cannavale e Giacomo Gensini.
“Rispetto a Gomorra – La serie abbiamo lavorato molto meno sul fronte action e molto più sulle psicologie: la differenza è tutta lì,” dichiara il regista Piva, che si affretta anche a ricordare di aver avuto il beneplacito di Roberto Saviano in persona sulla sua ricostruzione del mondo della camorra. “Non sono in tanti ad aver raccontato bene Napoli, in questi anni, e se c'era un punto di riferimento imprescindibile, per me e per chiunque ci abbia provato, questo era sicuramente Il camorrista di Tornatore.”
Raccontando la storia di quello che è divenuto un collaboratore di giustizia, e di un uomo che ha pagato un prezzo per i suoi errori, Milionari, sostiene Piva “non corre i rischi di spettacolarizzazione della scena criminale, dell'agiografia della camorra. Tanto che a faremo un convegno con il sindaco, il ministro Orlando e il magistrato che ha scritto il libro, in un luogo simbolo come Scampia, e poi faremo dei tour nelle scuole per parlare di legalità.”
Ad accompagnare Piva in queste attività ci sarà anche Salvatore Striano, l'attore napoletano ex detenuto che al cinema ha esordito proprio con Gomorra di Garrone, e che è nel cast quasi tutto napoletano al 100% del film.
Quasi tutto, ma non tutto, perché nel ruolo del protagonista – un camorrista di nome Marcello Cavani, detto "Alendelòn" – c'è il siciliano Francesco Scianna, e in quelli di sua moglie la toscana Valentina Lodovini.
Ma, con loro, anche Gianfranco Gallo, Francesco Di Leva, Carmine Recano e molti altri.
“Già nella sceneggiatura questo film era fuori dal cliché della figura del camorrista come spesso raccontato,” racconta Scianna, che si è detto attratto da subito “dalla la complessità di un personaggio, che vive di grandi contraddizioni interne e di dolore: e la complessità è quello che cerco, come attore.”
La difficoltà, per Scianna, era quella di “essere credibile all'interno di un gruppo di attori così, e nel contesto di una città così forte come Napoli,” mentre Valentina Lodovini non era alla sua prima interpretazione partenopea: “Marco Risi mi ha portato lì per prima con Fortapàsc, poi è venuto tutto il resto. Sono rimasta affascinata dal progetto di Alessandro perché amo molto quando si racconta il mio paese, e la storia dell'ascesa di questo clan ha echi molto attuali;” dice l'attrice, citando però anche Quei bravi ragazzi per via della coralità della storia e per l'arco di tempo lungo il quale si sviluppa. “Poi, di un personaggio come Rosaria, mi interessava l'amoralità,” contiua, “ma non l'ho giudicata: lei fa parte di codici e archetipi differenti dai miei, ma che esistono.”
“Valentina non ha bisogno di un dialogue coach per essere credibile come napoletana, perché è accettata senza forzo come una di loro” si complimenta Piva con la sua attrice, prima di raccontare che, per il film, ha preso spunto da parte del suo vissuto: “Non tutti sanno che sono nato a Salerno, e in questo film ho liberato qualcosa delle mie radici. Ho potuto lavorare su una base di grande autenticità rivendicando però il diritto a creare: quello che ho fatto a Bari con i miei primi film l'ho rifatto a Napoli, città che ti fa sentire un bagaglio culturale straordinario,” spiega il regista. “Tutti i nostri attori hanno messo qualcosa di loro nel film, e l'hanno reso più vero. Un film a Napoli, con un cast come questo, è per me una medaglia sul petto, anche perché si tratta del primo film che faccio che ha una complessità narrativa così ampia: tirare le fila di un film corale così è stato molto impegnativo, ma penso di aver vinto la scommessa.”
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