Matrimonio o convivenza: una scelta di vita

A cura della dott.ssa Stefania Gioia, psicologa e sessuologa a Seregno (MB).

 

Sposandosi si diventa “mogli” e si assume il cognome del marito. Chi sceglie di sposarsi dovrebbe anche essere pronta a lasciare definitivamente il proprio status di figlia per diventare moglie (e madre) ed entrare definitivamente in una nuova famiglia, creata dall’unione delle due stirpi. Diversamente, per chi sceglie di convivere non c’è un termine preciso (se non quello di compagno/a che ha connotazioni di tipo politico richiamanti la cultura socialista e anarchica) e non c’è un’unione formale tra le due stirpi. L’esperienza della convivenza richiama processi simili all’età adolescenziale: è un periodo di prova che lascia la possibilità, in qualsiasi momento, di tornare indietro. 
Ma dove si realizza meglio la donna? Dovendo prendere una scelta è inevitabile anche chiedersi quale, tra le due alternative, permetterà alle nostre capacità e ai nostri bisogni di trovare risposta e sostegno. Quale soluzione sarà più adatta a realizzare le nostre aspirazioni e i nostri sogni? La risposta dipende da cosa significa per ogni donna “realizzarsi” e come viene impostata la relazione a due (aspettative reciproche, ruoli, spazi, divisione dei compiti ecc.). Nel matrimonio potrebbero riconoscersi maggiormente le donne che vedono nella maternità e nella cura dell’altro la realizzazione della propria persona mentre chi aspira a soddisfazioni lavorative potrebbe essere portata per la convivenza; questo rappresenta in realtà uno stereotipo basato solo in parte sulla realtà. Matrimonio e convivenza, infatti, possono anche non essere vissuti in modo così differente. Ciò che accomuna matrimonio e convivenza è, di fatto, la presenza di un progetto comune che pone le basi in un patto di coppia più o meno esplicito che dev’essere continuamente rinnovato. Qualsiasi soluzione scegliamo ciò che farà da ago della bilancia è la solidità della nostra relazione.

Le motivazioni della scelta

Matrimonio

La Costituzione, e di conseguenza la legge italiana, regola i diritti e i doveri della famiglia riconoscendo come tale soltanto la coppia unita dal matrimonio.

Per convinzioni religiose. Consideriamo qui quella cattolica (ma un discorso simile può essere fatto per altre religioni). Per i cattolici l’unica forma per condividere la propria vita con un'altra persona e formare una famiglia è quella di sposarsi; il matrimonio è considerato un vincolo sacro che unisce due persone per sempre davanti a Dio e alla comunità. La donna è considerata come colei che deve aiutare l’uomo e crescerne i figli.

Per tradizione e cultura. Cultura e tradizione vedono la donna, fino a pochi decenni fa, destinataa diventare moglie e madre, l’angelo del focolare, colei che si prende cura dei figli, della casa e del marito. Questa immagine di donna fa parte del nostro inconscio e guida, più o meno inconsapevolmente, le nostre scelte.

Per l’idea romantica. Fin da bambine cresciamo con l’idea che la nostra vita si svilupperà con un timing preciso: infanzia, adolescenza, fidanzamento, matrimonio, figli. Inoltre, il giorno del matrimonio è spesso immaginato come il più bello di tutta la vita, come il momento in cui il principe azzurro (finalmente incontrato) ci regalerà un futuro “da favola”. È poi il giorno in cui gli sposi - ancora di più la sposa - godono di grande visibilità e attenzione, sono i protagonisti indiscussi al centro della scena (e l’album fotografico ricorderà per sempre queste sensazioni).

Per le pressioni familiari. Può accadere che la decisione di sposarsi venga presa perché è ciò che si aspetta la famiglia (di lui o di lei). Anche in questo caso, non siamo sempre consapevoli del peso delle aspettative: a volte le pressioni familiari possono passare da segnali molto sottili e impliciti, ma con risultati ben più efficaci di convincimenti espliciti e insistenti.

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