Mamme a rischio psicosociale, come prevenire il maltrattamen…

La relazione primaria tra madre e figlio rappresenta uno dei fattori fondamentali per lo sviluppo del bambino. Lo psichiatra americano Daniel Stern, esponente di spicco della “Infant Research” (area di ricerca al confine tra psicoanalisi e psicologia evolutiva), ha dimostrato sperimentalmente, mediante osservazioni e registrazioni, che esiste una precocissima capacità del bambino a relazionarsi con la madre. Se, ad esempio, un bambino emette un gridolino di piacere, la madre può rispondere, di rimbalzo, intonando la propria voce con quella del piccolo o dondolandolo dolcemente. I ripetuti momenti di sintonizzazione danno al bambino la sensazione rassicurante di essere emotivamente collegato alla madre, che le sue emozioni sono riconosciute, accettate e ricambiate.  

 

Seguendo le acquisizioni della “Infant Research” e della teoria dell’attaccamento (sviluppata dallo psicoanalista inglese John Bowlby negli anni Sessanta), le basi della futura vita emotiva del bambino vengono poste attraverso queste esperienze di condivisione tra madre e piccolo, che cominciano ancor prima della nascita. Ne emerge l’idea centrale che la madre svolga una funzione di regolazione della fisiologia e del comportamento emozionale del bambino. E c’è di più: tramite una indagine, definita “Adult Attachement Interview” (AAI) condotta su una futura madre, è possibile dimostrare che la disposizione interiore della madre determina il suo comportamento verso il piccolo, consentendo una previsione della qualità dell’attaccamento che il bambino non ancora nato svilupperà all’età di un anno. 

Proprio per la sua importanza la relazione madre-bambino è oggetto di continui approfondimenti nel campo della ricerca clinica sull’attaccamento. Uno studio a lungo temine condotto dalla psicologa e psicoterapeuta Alessandra Frigerio, responsabile del servizio di Psicologia clinica dell’attaccamento in età prescolare presso l’Istituto Scientifico Eugenio Medea (Bosisio Parini, Lecco), ha indagato sulle rappresentazioni mentali d’attaccamento e la mancata o incompleta elaborazione di esperienze traumatiche in un campione di mamme ad alto rischio psicosociale per maltrattamento (monitorate dai servizi sociali e inserite nelle comunità mamma-bambino su decreto del Tribunale dei Minori), rispetto a due campioni di controllo. A tutte le madri è stata somministrata l’AAI.  

 

La rilevazione di un’alta percentuale di disorganizzazione delle rappresentazioni d’attaccamento nel gruppo delle madri “maltrattanti” (campione ad alto rischio) suggerisce la presenza di un potenziale fattore di rischio nello stile di accudimento. Tuttavia è anche interessante il fatto che un certo numero di madri (circa il 30%), pur appartenendo al campione a rischio, non presenti indicatori significativi di disorganizzazione dell’attaccamento. A questo punto diventa fondamentale identificare gli eventuali fattori di resilienza presenti in questi soggetti e più in generale i fattori di protezione e di rischio della funzione genitoriale. 

 

Riguardo al vissuto di esperienze traumatiche, molte ricerche a partire da quelle significative di Mary Main e di altri studiosi dell’attaccamento, come Peter Fonagy, indicano che il miglio modo di prevedere come i genitori tratteranno i loro figli non è tanto conoscere le loro esperienze infantili oggettive, bensì il senso che hanno dato ad esse. Se non è possibile modificare ciò che è successo da bambini, si può cambiare il modo di pensare a quegli eventi, divenendo sempre più consapevoli delle situazioni vissute, delle emozioni provate. In tale prospettiva, la capacità riflessiva della madre è considerata un importante fattore di protezione della funzione genitoriale, in grado di favorire lo sviluppo di un attaccamento sicuro nel bambino, pur in condizioni di deprivazione socio-economica. 

 

La seconda parte dello studio portato avanti presso l’IRCCS Medea è rivolto a testare - sullo stesso tipo di popolazione - l’efficacia di un intervento (VIPP-SD) basato sulla video registrazione dell’interazione genitore-bambino e sull’analisi e la discussione dei filmati insieme alla mamma. Il modello VIPP-SD (Video-Feedback Intervention to Promote Positive Parenting and Sensitive Discipline) è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori olandesi dell’Università di Leiden. L’obiettivo dell’intervento consiste nel promuovere nel genitore la capacità di cogliere i segnali di richiesta del bambino e di rispondervi in modo adeguato, mediante una maggiore consapevolezza e un cambiamento delle attribuzioni e delle aspettative legate alla relazione con il proprio figlio. 

 

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