Lo psicologo: "Piccole vincite, l’illusione che porta al disastro"

di Luca Zorloni

Milano, 7 agosto 2012 - Paolo Cherubini, professore di psicologia all'Università Bicocca di Milano ed esperto di neuropsicologia cognitiva, quali sono i processi che rendono seriali i comportamenti legati al gioco?
"L’abitudine al gioco d’azzardo ripetuto e compulsivo è acquisita, quasi paradossalmente, anche grazie a un meccanismo molto importante per la sopravvivenza e l’adattamento: il reward learning, che serve per imparare attraverso l’esperienza a fare previsioni e creare aspettative sulle conseguenze di eventi e comportamenti. È una forma di apprendimento pressoché automatico di associazioni predittive “approssimative” tra determinati eventi o comportamenti e alcune loro possibili conseguenze ricompensanti. La forza e la durata dell’apprendimento tendono a essere massime quando i premi sono intermittenti, imprevedibili, e di entità variabile, il cosiddetto “rinforzo intermittente a intervalli casuali”. I casi in cui si presenta la ricompensa (nel gioco d’azzardo, le vincite) sono più “salienti” di quelli in cui ciò non avviene, sono cioè notati di più e ricordati meglio. Gli sviluppatori di giochi d’azzardo “di massa” (lotterie varie, slot machines, gratta vinci) conoscono da molto tempo i dettagli tecnici del reward learning, i primi studi sperimentali sul quale risalgono a oltre un secolo fa. I pattern con cui presentano i premi sono studiati a tavolino per renderli né troppo frequenti né troppo radi, nel tentativo di istillare l’abitudine al gioco".

Come ci comportiamo di fronte al gioco d'azzardo?
"Il cervello umano si sforza sempre di trovare regolarità che gli consentano di comprendere le probabili cause di ciò che accade. Quando questi pattern non esistono, come nei giochi d’azzardo perfettamente casuali, tavolta il soggetto si illude averli trovati e di saper perciò controllare un fenomeno che prescinde dalla sua volontà. È la cosiddetta “illusione di controllo”, studiata sperimentalmente da almeno 40 anni. Basta pensare a un compratore di biglietti della lotteria che vuole scegliere la cedola da acquistare o un giocatore che soffia sui dadi prima di tirare: sono comportamenti irrazionali. In un recente studio comparso sull’autorevole rivista Neuron si osserva che i near miss, le “quasi vincite”, attivano nel cervello del giocatore (anche se in grado minore) le stesse aree neurali della ricompensa che si attivano in caso di vittoria e contribuiscono quindi a ritentare e a rafforzare l’abitudine”.

Che meccanismo scatta nel cervello quando vinciamo al gioco?
“È un circuito detto “sistema del rinforzo”, noto dagli anni ’50 del Novecento, che tocca diverse aree del cervello prima di confluire nel nucleo accumbens, che è il principale centro di produzione del neurotrasmettitore dopamina. È un sistema abbastanza generico che risponde a ogni stimolo considerato positivo ed è lo stesso sistema su cui agiscono alcune droghe, come la cocaina e le metanfetamenine".

Perché la sconfitta non ci dissuade dal ritentare la scommessa?
"Negli esseri umani e in altri animali esiste una forte tendenza a evitare le perdite, detta loss aversion. Perdere 50 € ci dispiace circa 2,25 volte di più di quanto ci faccia piacere guadagnarne altrettanti nuovi. La tendenza trova la sua base fisica in un circuito neurochimico “complementare” a quello della ricompensa, detto della punizione, che usa un neurotrasmettitore differente, l’acetilcolina. Ma se le perdite dispiacciono più di quanto diano piacere le vincite, perché alcune persone sono coinvolte con il gioco d’azzardo al punto da incorrere in perdite finanziarie che non si possono permettere? In primo luogo, in molti dei giochi d’azzardo di massa non ci sono “perdite”, ma vincite o non vincite. Il costo del gratta vinci o la monetina infilata nella slot machine non sono considerate perdite e di conseguenza non attivano il circuito della punizione. Sono spese che vengono prima e quindi sono classificate come “costi” per giocare, e non come “perdite a conseguenza del gioco”. Se la cedola del gratta e vinci fosse gratuita e in caso di non vincita il giocatore trovasse la scritta “paga 5 euro al barista”, mentre a ogni vincita fossero sottratti 5 euro, il gioco sarebbe perfettamente identico, da un punto di vista finanziario e logico, ma il suo costo sarebbe percepito come perdita, attiverebbe il sistema della punizione e il gioco si estinguerebbe in fretta”.

Quali sono gli errori di valutazione più comuni che vengono commessi?
“Ci sono gli errori di contabilità mentale, che fanno riferimento ai “costi” di cui si diceva prima. La distinzione si fa tra la cosiddetta “contabilità mentale integrata”, ovvero quando una persona riesce mentalmente, come in un libro paga, a sommare insieme tutti i costi e benefici associati a una certa classe di comportamenti, e la “non integrata”, molto più frequente, che avviene quando ogni costo viene conteggiato isolatamente. Con questo secondo stile cognitivo i costi sono sempre apparentemente ridotti e il loro confronto con le vincite sembra illusoriamente vantaggioso. Ci sono poi grossolani errori di stima di probabilità. Tendiamo a sovrastimare le probabilità molto basse o infinitesimali. Il cervello non è fatto per capire davvero grandezze come “uno su dieci miliardi” o simili (e alcuni jackpot hanno probabilità assimilabili a queste, o inferiori). Basta questa automatica sovrastima per rendere apparentemente vantaggioso qualcosa che non lo e considerare i forti premi “più possibili” di quanto effettivamente siano. Solo chi ha studiato il calcolo delle probabilità riesce a stimare correttamente le probabilità di vincere (e talvolta non è facile, in alcuni dei moderni giochi resi sempre più strutturati)".

Vi sono altri fattori?

"Quando il giocatore davvero realizza che ha perso, e anche molto, scatta il meccanismo “mi devo rifare”. Da un punto di vista cognitivo è una tendenza nota come sunk cost effect o effetto dei costi persi: la sola ragione di aver già investito molte risorse in qualcosa che ormai si rivela probabilmente improduttivo, spinge a dedicarvi altre risorse (invece di lasciar perdere e guardare altrove, come vorrebbero i criteri di razionalità). È quello che scatta nel giocatore, quando incrementa in modo inarrestabile le perdite, nella vana speranza di “rifarsi” con un’enorme vincita”.

Ci sono delle categorie più sensibili o fattori che facilitano l'insorgenza di questi fenomeni?
“Il giocatore seriale e abituale diventa patologico quando ribalta i valori: il gioco, per quanto frequente, da passatempo si tramuta nel nucleo centrale intorno al quale ruota la sua vita. Perché, se i giochi sono costruiti per creare abitudini al gioco forti e robuste, alcuni giocatori non diventano patologici e altri sì? Bisogna ammettere che la scienza sa relativamente poco sui “fattori di rischio” e sui “fattori protettivi”. Nel caso del gioco d’azzardo sono senz’altro importanti fattori di personalità, come il senso di autoefficacia, l’atteggiamento verso il rischio, il sentimento di inadeguatezza rispetto agli standard sociali; fattori emotivi, come l’efficienza del processo di rielaborazione e di rimodulazione delle emozioni, la presenza o assenza nel contesto sociale del giocatore di altre fonti di stimolazione affettiva positiva; fattori cognitivi, come la capacità di inibire comportamenti automatici (cioè, sentiamo una spinta a giocare, ma ci riflettiamo una seconda volta e non lo facciamo), o la “riserva cognitiva” (ovvero quanto una persona è stata intellettivamente impegnata nell’arco della sua vita). Ma anche fattori sociologici e socio-psicologici hanno la loro importanza”.

E' vero che la crisi tende a spingere più persone al gioco?
"Sì ed è un risultato acquisito da studi sociologici di vecchia data, fin dalla crisi del 1929. In circostanze estreme la “loss aversion” si inverte: rischiare tutto per risollevarsi e se si perde accettare addirittura persino di morire diventa una prospettiva accettabile in una situazione che soggettivamente riteniamo inaccettabile. Questo avviene persino in persone precedentemente ritenute “prudenti e equilibrate”.

Oggi esistono molti siti di giochi online: c'è il rischio di un acuirsi di alcuni fenomeni negativi tra i giovani?
"Il siti di gambling diffondono il gioco e i suoi rischi a macchia d’olio e gli toglie quel poco che ha di positivo, ovvero un minimo aspetto di socialità. Sul web il gioco è praticabile anche da chi si vergognerebbe di farlo in pubblico, quindi aumenta per semplice fattore statistico la possibilità di generare patologie e disagi. Si tratta poi di spese per la società, in termini di persone distrutte, capitali dispersi, ore di lavoro perse, famiglie in crisi che richiedono assistenza, costi sanitari di trattamento. Non so se i legislatori avessero conteggiato questi costi alla voce “perdite” quando pianificarono la legalizzazione e l’avvio del gioco d’azzardo online, accecati dagli incredibili ricavi per lo Stato. Temo non lo abbiano fatto". 

luca.zorloni@ilgiorno.net

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