Le seduzioni della guerra e i generali da poltrona

Lo psicologo e scrittore James Hillman è morto il 27 ottobre 2011 e ci ha lasciato in eredità un saggio intenso e provocatorio: “Un terribile amore per la guerra” (www.adelphi.it, 2004).

“Noi siamo per gli dèi come mosche per i monelli”. Shakespeare

“L’unica fonte della guerra è la politica”. Clausewitz

Il saggio di Hillman è stato scritto dopo decenni di letture di libri sulla guerra e raccoglie numerosi aneddoti molto significativi, provenienti da culture di tutti continenti nelle diverse epoche. Lo studioso afferma che “i personaggi dei miti ritraggono le caratteristiche della natura umana, e la psicologia è mitologia in abiti contemporanei”. Ogni tradizione culturale sottolinea i sentimenti prioritari da trasmettere in modo più o meno proficuo e aggressivo alle successive generazioni. Ma in molti casi è solo “la mano scheletrita del passato nobilitata con il nome di tradizione” (p. 190).

Troppo spesso siamo fuorviati dalle nostre università e dai mezzi di comunicazione che stabiliscono le priorità professionali di molti di noi. Secondo lo psicologo americano la guerra “è forse la prima delle sfide a cui la psicologia deve rispondere, perché minaccia la direttamente la vita… l’esistenza di tutti gli essere viventi” (p. 12). Però la psicologia non può perdere tempo prezioso seguendo la pista metafisica pacifista espressa in modo magistrale da un cabarettista tedesco: “Immagina che fanno la guerra e nessuno ci va” (Wolfang Neuss, morto nel 1989).

La psicologia dovrebbe imparare da subito a prevenire i danni che tutte le società possono infliggere agli individui. Non si può ridurre “ad una ricerca banale ed egocentrica” senza “esplorare i misteri della natura umana”. Non ci può essere un vero progresso sociale se i media continuano a presentare una notizia e poi “l’opinione dell’opposizione” senza prendere mai in esame “un terzo punto di vista”. E ci “siamo avviliti perché abbiamo un solo Dio: l’economia… un aguzzino” (intervista di Scott London).

Però è meglio chiarire da subito che “né gli esperimenti in laboratorio né le ricerche sul campo confermano l’esistenza di un nesso causale tra violenza nei media e aggressività individuale”. Semmai “sono le persone aggressive a scegliere programmi e videogiochi violenti”: sono questi i risultati di vent’anni di studi di Jonathan L. Freedman (Media Violence and Its Effect on Aggression, University of Toronto Press, 2002). 

Comunque non bisogna ritenere i fenomeni legati alla guerra come incomprensibili, poiché “il primo principio del metodo psicologico dice che qualsiasi fenomeno, per essere compreso, va immaginato entrando in sintonia con esso”. Il nostro impegno deve quindi concentrarsi sul riuscire a “immaginare la natura di tale forza collettiva”, per trovare soluzioni alternative dove incanalare in modo indolore tutta l’energia umana prodotta, evitando così i conflitti armati più catastrofici.

Barbara Tuchman è stata una grande storica specializzata in polemologia e ha sottolineato che è principalmente un difetto di immaginazione a provocare quella “perseveranza nell’errore” che conduce alle guerre (“La marcia della follia. Dalla guerra di Troia al Vietnam”, 1985). Naturalmente la causa primordiale è la forte pressione ormonale che si produce nei leader politici, che operano in gruppi di lavoro con troppi uomini e con troppi interessi in ballo. E molti generali sono ben consci della loro sporca passione della guerra. Piacere che nasce dalla forte pulsione aggressiva e rabbiosa presente in quasi tutti i maschi dei primati (le scimmie antropomorfe).

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