La tristezza dei bambini: sintomo o momento passeggero?

Le cronache recenti stimolano una riflessione sui bambini e la loro sofferenza, la loro capacità di dare un nome alle emozioni. Parlarne è un modo per non temerle, e imparare a gestirle di Angela Dassisti

Le cronache di questi giorni invitano a riflettere. Sulle nostre famiglie, sulla nostra capacità di comunicare, all’interno della famiglia. Sulla capacità di “captare” i messaggi, qualche volta veri e propri segnali di aiuto, che ci lanciano soprattutto i più piccoli. La nascita e la crescita di un bambino rappresentano infatti per il genitore la sfida più grande. Sin dai primi giorni di vita può mostrare caratteristiche del suo temperamento e i genitori spesso sono in grado di individuare l’esatto carattere del proprio bambino già dopo poche settimane. Talvolta però nella loro crescita si verificano eventi dolorosi che potrebbero segnarli profondamente. Ma nel loro intimo come stanno davvero i bambini? Soffrono? La nascita di un fratellino, la separazione dei genitori, cambiamenti di domicilio o scuola, l’allontanamento da un caro amico possono rappresentare situazioni difficili e di maggiore vulnerabilità. Il bambino può iniziare anche velocemente a mutare alcuni aspetti del suo comportamento, che vengono imputati alla difficoltà di adattarsi o di accettare le trasformazioni. La sofferenza intensa nei bambini spesso si manifesta con irritabilità, perdita dell’appetito o del sonno, difficoltà nel controllo sfinterico, tristezza, difficoltà nei rapporti sociali, scarso interesse per il gioco e difficoltà scolastiche. Gli adulti presi da tante responsabilità si dimostrano poco preparati ad affrontare le variazioni d’umore dei bambini, lo sono maggiormente dinanzi a scarso appetito o difficoltà del sonno, poiché si verificano con maggiore frequenza e sono più evidenti.

Tuttavia la depressione infantile sempre più spesso si presenta nella vita apparentemente serena dei nostri figli, seppure risulta ancora difficilmente diagnosticabile. Bassa autostima, incertezze sulle proprie capacità, mancanza di interlocutori privilegiati, difficoltà a parlare dei propri sentimenti, violenze e familiarità per disturbi dell’umore rappresentano dei fattori di rischio importanti. Purtroppo anche i bambini provano dolore e quando sono piccoli non sono in grado di esplicitare la loro sofferenza come farebbe un adulto. I bambini, infatti, imparano a dare un nome alle emozioni e a riconoscerle su se stessi in seguito all’apprendimento che deriva dal loro sviluppo, dall’ambiente e dalla famiglia. Parlare delle emozioni con i bambini, anche quelle negative, permette loro di riconoscerle. Una pratica assolutamente naturale di raccontare storie in cui si narra del dolore e della felicità dei personaggi delle favole, permette ai bambini di entrare in contatto con emozioni quali la tristezza, la rabbia, la paura, la gioia. Spesso però nella vita reale non ci si sofferma sulle emozioni; si danno per scontate la felicità per una festa di compleanno come la tristezza per un brutto voto; meno frequentemente si pensa al significato di quella festa, alla valenza di quel brutto voto. I bambini hanno bisogno spesso delle spiegazioni e delle rassicurazioni degli adulti per leggere le situazioni e per cogliere le sfumature delle emozioni che provano. Mentre i “grandi” sono capaci di interpretare ciò che gli accade, dalla lite con l’amico alla sgridata della maestra i bambini non hanno sufficienti capacità inferenziali per ragionare sull’accaduto, al contrario hanno un pensiero egocentrico che li porta a pensare di essere la causa di ciò che accade anche agli altri. Bambini, soprattutto molto piccoli, ad esempio, potrebbero sentirsi colpevoli per la separazione dei genitori, incolparsi della preoccupazione che gli adulti provano per la scuola o per il loro futuro, se poco apprezzati possono pensare di essere inadeguati, potrebbero addirittura scegliere di non parlare della propria tristezza per proteggere i propri cari dal dolore che questo gli arrecherebbe.

Pretendere che i nostri figli parlino dei loro problemi e della loro tristezza non equivale ad ascoltarli, rassicurarli sostenerli. Sarebbe possibile insegnare loro a parlare dei propri stati d’animo spiegando la nostra felicità per una giornata bella e piena di soddisfazioni, descrivendo la delusione per aver perso la partita ma anche i tentativi di soluzione che mettiamo in atto. Esplicitare e fornire un modello ai bambini ci permette di spiegare loro concretamente come si fa a condividere i propri sentimenti, quali sono i vantaggi di farlo e la prospettiva positiva di trovare una soluzione ai problemi che li determinano. Parlare delle proprie sensazioni ai bambini rappresenta un modello per non temerle, per non vergognarsi ma per imparare a gestirle e canalizzarle in modo funzionale. In alcuni casi però non è facile, ci sono bambini che non amano parlare con i genitori e che esplicitano il proprio disagio con zii, amichetti, insegnanti o istruttori. Non importa chi sia l’interlocutore dello sfogo, l’importante è che questo avvenga e che il bambino riesca a dare un nome al malessere che prova in quel momento. È importante che i bambini si sentano apprezzati, capiti, amati, sostenuti e incoraggiati. Nei casi in cui questo non avvenga vivranno probabilmente con maggiore frustrazione gli eventi negativi e disporranno di minori capacità di affrontare situazioni spiacevoli, poiché penseranno di non esserne capaci, di essere diversi, strani, poco adeguati e deboli. Se non siamo pronti, se ci fa paura la loro paura e non siamo certi di avere un comportamento adeguato possiamo contare sull’aiuto di esperti e consigli specifici, poiché ogni bambino ha la propria storia, le proprie caratteristiche e i propri punti di debolezza. La tenerezza e il sostegno della famiglia, invece sono importanti; l’attenzione ai piccoli dettagli, ai timori, alle preoccupazioni dei bambini e dei ragazzi sono talvolta fondamentali. Sicuramente come genitori non ci è dato di tenerli lontano dai problemi o dalle difficoltà, ma possiamo sostenerli e incoraggiarli a vivere con fiducia la loro vita, poiché è preziosa, come lo sono anche i nostri bambini.

31 ottobre 2012

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