LA STORIA DI CHRISTIAN, DALL’AQUILA A BARCELLONA

di Elisa Marulli

L’AQUILA - “L’aria di libertà e di maggior giustizia che si respira da queste parti”.

Questo il motivo che ha spinto Christian Dundee, 31 anni, aquilano, a trasferirsi a Barcellona tre anni fa. Lo stesso motivo che lo lega ancora adesso alla città delle Ramblas, dove grazie alla sua laurea in Psicologia lavora come educatore sociale in un centro per minori.

In Catalogna, una delle regioni più ricche della Spagna, Christian ha trovato il lavoro (“non sentivo parlare di contratto a tempo indeterminato dai tempi di mio padre”) l’amore, e la speranza nel futuro, visto che con la sua compagna è in attesa di un “piccolo italo-catalano”.

Ad AbruzzoWeb, che lo ha intervistato per la terza puntata dedicata agli emigranti abruzzesi all’estero, ha parlato dell’ex premier italiano Berlusconi e del neo eletto Rajoy, della sensazione di impotenza provata nel vivere il terremoto a migliaia di chilometri di distanza, della nostalgia per il Gran Sasso e Castel del Monte  e dei “piacioni e casinari” italiani all’estero.

E soprattutto ha confermato che non c’è nessuna paella che tenga di fronte ai nostrani arrosticini!

Quanto tempo fa hai deciso di lasciare l’Italia? E perché?

Prima di laurearmi avevo già deciso di lasciare l’Italia. Le ragioni sono varie e la rielezione di Berlusconi fu una di queste, ma la verità è che scelsi di andare via soprattutto perché mi ero reso conto che avrei potuto raggiungere pochi o nessuno degli obiettivi professionali che mi ero prefissato.

Ho sempre voluto lavorare con la popolazione immigrante e nell’ambito del trattamento delle tossicodipendenze, ma tutto questo in Italia è praticamente impossibile, a meno che non ci si rassegni a lavorare basandosi su idee, secondo il mio punto di vista, obsolete e inefficaci. Tutto ciò è dovuto in particolar modo all’attuale situazione culturale e politica.

Che lavoro svolgi a Barcellona?

Lavoro come educatore sociale in un centro residenziale per minori, dopo aver passato quasi due anni in un centro di accoglienza, sempre per minori. I ragazzi con i quali lavoriamo non sono sotto la patria potestà di nessun adulto sul territorio spagnolo (per ragioni che possono essere varie: immigrazione, intervento dei servizi sociali, uscita recente da un centro di detenzione, ecc...) e per legge vengono affidati a un organo di governo che fa in modo di fornire loro un alloggio, come il centro in cui lavoro, una istruzione o una formazione professionale e tutto ciò di cui il minore possa avere bisogno.

Con un altro gruppo di persone adesso, stiamo dando vita a un club sociale per i consumatori di cannabis terapeutica e non, basato sulla prevenzione e riduzione del danno, principio che in Italia rimane praticamente inapplicabile dovuto alla legge sull’istigazione al consumo di droga (si basa sull’informazione e sul consumo controllato ma se già informare è istigare, immaginatevi gli spazi per il consumo controllato e le coltivazioni per il controllo della qualità...). 

Perché hai scelto Barcellona? C’eri già stato?

Ho scelto la Spagna, e in particolare la Catalogna, proprio perché sapevo che qui tutto questo già era una realtà. L’aria di libertà e di maggior giustizia che si respira da queste parti aiuta molto quelle persone che sono disposte a mettersi in gioco e a lavorare duro. D’altronde neanche qui nessuno regala niente! Barcellona poi è una città davvero a misura d’uomo e credo che si avvicini all’equilibrio perfetto tra tranquillità e movimento.

È stato facile trovare un impiego? In generale, trovare lavoro in Spagna è più semplice rispetto all’Italia?

So che non tutti sono così fortunati, ma per me è stato davvero facile. Mi hanno convocato per il colloquio  15 giorni dopo aver inviato il curriculum su Internet.

Come sapete la crisi è mondiale ma la Catalogna rimane comunque tra i cinque motori economici europei e immagino che qui sia molto più facile trovare lavoro rispetto ad altre zone della Spagna. La vera differenza sta nel fatto che io non sentivo parlare di contratto a tempo indeterminato dai tempi di mio padre mentre qui è decisamente più semplice arrivare ad averne uno.

Il 6 aprile 2009 eri in Spagna? Se sì, come hai vissuto quella terribile esperienza da lontano?

Si, ero in Spagna ed è stata un’esperienza orribile. La sensazione peggiore è l’impotenza. Sai che la tua famiglia, i tuoi amici, la gente con cui hai sempre vissuto si trova in una delle peggiori situazioni immaginabili e che tu sei a migliaia di chilometri di distanza.

Ero cosciente del fatto che tornare sarebbe stato assolutamente inutile e forse controproducente come sapevo bene che non avrei avuto neanche la possibilità di entrare come psicologo volontario nei campi perché già erano strapieni (almeno a detta della protezione civile). Posso assicurare che anche a queste condizioni ho valutato la possibilità di ritornare all’Aquila varie volte finché mia madre, santa donna, non me lo ha proibito categoricamente.

Qual è la percezione della situazione post terremoto all’Aquila lì in Spagna? Si crede che sia tutto risolto?

Per la verità il terremoto non ha avuto una grossa eco in Spagna ed è stato trattato per quello che è stato: una grande tragedia in una piccola città italiana. C’è anche da dire però che in occasione del terremoto di Lorca, in uno dei servizi in televisione, si parlava del terremoto dell’Aquila e in particolare si diceva “speriamo almeno che le cose qui vadano a posto senza la necessità di attese infinite e cortei di carriole”.

A proposito di Lorca (Murcia), dove nel maggio scorso c’è stato un forte terremoto. Com’è stata gestita la situazione? Meglio o peggio dell’Aquila?

È difficile gestire un’emergenza peggio di come sia stata gestita quella dell’Aquila. A Lorca i primi provvedimenti sono stati presi con l’obiettivo di non disgregare il tessuto sociale del posto, reimpiegando i lavoratori nei paesi e nelle città immediatamente vicine, fornendo spazi per l’istruzione e il tempo libero, fornendo abitazioni più o meno provvisorie e dando la priorità alle riparazioni degli edifici danneggiati rispetto alla costruzione di edifici completamente nuovi.

Ti manca la tua città? Torni spesso qui?

Molto. Mi manca soprattutto la gente con cui ho vissuto gran parte della mia vita. Mi manca il mio paese, Castel del Monte, il Gran Sasso, i posti in cui sono cresciuto ed è per questo che appena posso torno a casa.

Com’è vivere a Barcellona?

Posso parlare solo per me, ma devo dire che di sicuro è la città europea che preferisco: è una città che accetta chiunque e che vuole soltanto che si rispettino le minime regole stabilite. Diciamo che puoi fare un po’ quello che vuoi fino a che non crei problemi alle altre persone.

Cosa hai trovato a Barcellona che invece non trovavi qui all’Aquila? Le cose funzionano meglio lì rispetto alla nostra città?

Non sarebbe onesto un confronto tra Barcellona e L’Aquila. Le possibilità che offre una capitale europea, a qualsiasi livello, sono infinite rispetto a quelle che può offrire una piccola città di provincia ed è proprio questa una delle cose che mi ha spinto a muovermi. Quello che però posso dire con certezza, è che le cose qui funzionano davvero bene: è impressionante per esempio vedere con che efficienza e velocità si portano avanti le grandi opere pubbliche, come le semplici operazioni di manutenzione delle installazioni, per esempio della metropolitana.

Qualche difetto degli spagnoli?

Hanno appena eletto Mariano Rajoy come presidente del consiglio.

Gli spagnoli deridono l’Italia per la nostra situazione politica?

Chi non lo fa?

Come vengono considerati gli italiani che vivono lì? C’è accoglienza?

La Catalogna storicamente è sempre stata una regione con un forte tasso di immigrazione nazionale e internazionale, cosa che probabilmente ha contribuito a rendere i catalani molto accoglienti.

In ogni caso l’opinione che hanno degli italiani (e qui parlo di una opinione generale e non solo di quella dei catalani) non è esageratamente buona: abbiamo fama di “piacioni”, di maschilisti, di casinari e di gente poco affidabile. Non sono pochi quelli che hanno avuto problemi a trovare una stanza proprio per il fatto di essere italiani. Sembra infatti che abbiamo la simpatica abitudine di portare a casa una quantità di gente ritenuta quantomeno fastidiosa dalle altre etnie.

Da qualche tempo anche tuo fratello Stefano ti ha raggiunto in Spagna. I tuoi genitori come hanno preso questa seconda ‘migrazione’ in famiglia?

L’hanno visto come qualcosa di necessario e positivo per il futuro di mio fratello ed è per questo che  l’hanno presa bene, anzi, l’hanno spinto a farlo.

Sono tantissimi i giovani che decidono di andare a vivere all’estero. Secondo te perché?

Credo che il motivo sia la evidente mancanza di opportunità. Se hai la minima intenzione di provare a fare qualcosa di innovativo o di originale ti rendi conto da subito che sei nel posto sbagliato.

Perché in molti scelgono proprio la Spagna? Cos'ha di così attraente?

La Spagna è una nazione molto liberale e gli spagnoli sono persone che sanno divertirsi. I ragazzi lo sanno perfettamente e lo sperimentano appena arrivano. È anche per questo che in molti decidono di rimanere.

Perché il tuo soprannome è ‘Mario’?

È una storia che si perde tra le alcoliche nebbie di una nottata a Castel del Monte quando, per farla breve, a mio fratello non tornava in mente il mio nome e disse: “Tu, come ti chiami...?...Mario!”. Quello fu il giorno del mio secondo battesimo.

Credi che il tuo trasferimento sia definitivo o un giorno speri di tornare all’Aquila?

Credo proprio che il mio trasferimento sia definitivo o per lo meno di lunghissima durata, dato che con la mia ragazza aspettiamo un piccolo italo-catalano che arriverà a marzo! Ciò non toglie comunque che un giorno, in futuro, possa tornare.

Ultima domanda. Rispondi senza pensarci: arrosticini o paella?

Arrosticini tutta la vita!!!
 

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07 Dicembre 2011 - 20:21 - © RIPRODUZIONE RISERVATA

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