La sindrome di Palermo

Trono regio, Cattedrale di Palermo

Tutti conosciamo la sindrome di Stoccolma, cioè quella condizione psicologica nella quale una persona vittima di sequestro solidarizza o addirittura si innamora del suo rapitore, forse meno nota è la sindrome di Palermo.

Le elezioni amministrative che hanno visto il trionfo di Leoluca Orlando nella corsa per Palazzo delle Aquile più che un’analisi politica, che è anche molto semplice, richiedono un’analisi psicologica. Il consenso bulgaro (o sarà il caso di dire palermitano?) che la città ha riservato ha Orlando è l’espressione più genuina della psicologia dei palermitani: i palermitani non hanno bisogno di un sindaco, di un amministratore, i palermitani hanno bisogno di un padrone, di un dominus. Se guardiamo alla storia di questa città c’è sempre stato un dominatore, un padrone.

Di volta in volta popoli, sovrani e uomini di potere hanno dominato incontrastati sulla città, sempre osannati o scaricati al momento opportuno dal popolo palermitano. Più recentemente Palermo si è consegnata mani e piedi prima a Mamma Dc, poi a Leoluca Orlando, poi ancora al centrodestra berlusconiano e ora torna nuovamente il sindaco della Primavera.

Non c’è politica in questo ritorno di fiamma, c’è la necessità di questa città di riconsegnarsi alle braccia forti di qualcuno che questa volta, considerata anche l’agonia della città, dovrebbe anche essere un salvatore.

Palermo è una città strana, Palermo non si è mai posseduta. E’ una città che è stata di tanti ma mai nostra perché non l’abbiamo mai sentita tale. I palermitani sfiduciati e incapaci di un rapporto con la cosa pubblica hanno scelto Orlando perché ora “deve pensarci lui” a risolvere i problemi di questa città, e da parte nostra non offriremo mai collaborazione ma soltanto un osannante servilismo in cambio di una deresponsabilizzazione totale e di un minimo di benessere che non è sentito come diritto ma soltanto come concessione del potente.

In questo contesto le avventure di Fabrizio Ferrandelli, Massimo Costa e Alessandro Aricò non potevano che infrangersi contro questo modo di essere della città: derubricati a “piscialetto” i giovani candidati sono stati travolti dal consenso di Orlando perché probabilmente hanno chiesto a Palermo qualcosa di troppo grande: cambiare, prendendo in mano le redini del proprio destino.

Da Leoluca Orlano mi dividono tante, troppe cose, ma non ho nulla contro di lui. Forse potrà anche essere un buon sindaco per Palermo, migliore rispetto anche alle sue precedenti amministrazioni, e non nascondo che me lo auguro, tuttavia resta la forte amarezza per una città che non riesce a sfidare gli eventi, a guardare lontano,  ma che si rinchiude nel suo salotto e mette su un vecchio disco per ricordare i tempi che furono.

Tanto c’è qualcun altro che ci pensa alle sorti della città, anzi c’è un altro che questa cosa la sa fare.

Adriano Frinchi

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