La psicologia del vegetariano

Michela Dell’Amico

Pubblicato

aprile 18, 2014

Essere vegetariani non è una patologia, ma la scelta può nascondere motivazioni psicologiche profonde e spesso poco consapevoli. “Siamo persone complesse – spiega Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia all’Università La Sapienza di Roma – e possiamo aderire a questa visione filosofica a livello cognitivo: è spiacevole uccidere e mangiare animali. Può darsi che alcuni riescano a conciliare la parte consapevole e quella inconscia di questa scelta, ma non per tutti è così. Se è vero ad esempio che dietro questa dieta può esserci un rifiuto della propria aggressività, e di quella del mondo che ci circonda, ci sono tuttavia anche vegetariani estremamente aggressivi, in cui la parte istintuale ha ampio spazio. La situazione ideale per un vegetariano è raggiungere un accordo tra il livello consapevole e l’inconscio: l’aggressività è parte di noi, e la si può utilizzare in modalità difensiva e non offensiva, fa parte del nostro naturale istinto”.

Certamente non è detto che essere vegetariani porti danni, anzi, soprattutto se – dal punto di vista alimentare – si segue una dieta completa, diciamo razionale. “Non ci sono danni psicologici – continua Ferraris – finché i vegetariani convivono bene con il resto del mondo e, diciamo, non sono fanatici. Già il discorso si fa più complesso se parliamo dei vegani, che secondo me possono iscriversi nella patologia perché creano fratture tra le persone, si sentono puri e spesso disprezzano chi non fa come loro”.

“Oltre a motivi di tipo salutistico – ci dice Paolo Santonastaso, direttore del dipartimento di Neuroscienze all’università di Padova – ce ne sono altri che spingono verso queste scelte, potenzialmente legate ad atteggiamenti di tipo ossessivo-compulsivo. Si tratta di chi ad esempio ha paura dei contatti, delle contaminazioni, che è ossessionato dall’ordine e dalla pulizia. La carne dà l’idea di un contatto non sano. D’altro canto però, la scelta di non mangiare i nostri simili è eticamente apprezzabile, specie in una società che si basa su un mercato che costringe alla soppressione degli animali. Così, la scelta può essere una manifestazione di rifiuto della società, che in certi casi è tipica dei vip, come Umberto Veronesi. In fondo essere carnivori significa mangiare cadaveri, implica sempre la morte, e chi ama gli animali si può rifiutare. In genere quando mangiamo carne non pensiamo all’”individuo” che è nel piatto, non pensiamo all’individualità degli animali, ma chi li conosce, chi ha rapporti con gli animali si può rifiutare di mangiarli ed è assolutamente sano dal punto di vista psicologico”.

Anzi, in questo senso la scelta di un vegetariano può essere molto più psicologicamente “sana” dei paradossi che caratterizzano i carnivori. Un interessante studio dell’Università di Queensland ha esaminato le giustificazioni delle persone che devono risolvere il “paradosso carne”: come mai l’uomo mangia volentieri la carne e ha comunque simpatia e amore per gli animali? Succede perché la sua immaginazione separa l’animale dalla bistecca. Dalla ricerca è emerso che per molti carnivori la scelta è motivata dal fatto che gli animali che mangiamo avrebbero scarse capacità mentali. Ma che dire del maiale, tanto simile all’uomo e riconosciuto come uno dei più intelligenti? Stando agli esiti dell’esperimento, chi mangia la carne è in grado di rimuovere questo fatto e sentirsi comunque in pace con la coscienza… a meno che non sieda accanto a un vegetariano. Come ha mostrato un altro studio dell’Università Pennsylvania e Stanford, pubblicato sul Social Psychological and Personality Science, il vegetariano genera sensi di colpa, perché chi mangia carne ha spesso l’impressione d’essere moralmente criticato da chi non la mangia.

Comunque, “il rifiuto di mangiare carne non è patologico di per sé, ma può esserlo la forma, il modo in cui si dichiara di esserlo. Ancora, può essere patologico il caso di una madre che senza discutere imponga al figlio questa dieta. Ci sono quindi forme patologiche dell’essere vegetariano, se lo si concepisce in modo rigido. Per il resto la dieta vegetariana è quasi universalmente riconosciuta come sana, almeno rispetto a chi mangia molta carne, e dunque la scelta può essere tranquillamente molto razionale e sana”.

Tra gli adolescenti, tuttavia, pare vada prestata particolare attenzione. Una ricerca condotta all’Università del Nebraska afferma che le ragazze – la percentuale maggiore degli adolescenti vegetariani – si astengono dalla carne perché tendono a identificare la loro debolezza e vulnerabilità con quella degli animali, che considerano vittime. Schierarsi con loro significa, indirettamente, difendere se stesse, o anche manifestare una richiesta d’aiuto. In molti casi diventare vegetariani per un adolescente è un modo per mascherare un disordine alimentare come l’anoressia.

Un adolescente può entrare in crisi anche per l’”uccisione” dei vegetali, che sono comunque esseri viventi. La cosa è più razionale di quel che sembra, se consideriamo i numerosi studi che negli ultimi anni hanno affrontato la questione della neurobiologia delle piante, che sarebbero in grado di apprendere e comunicare, che avrebbero coscienza di sé e sensibilità al dolore. Oggi, buona parte della scienza è concorde nell’affermare che il profumo di erba tagliata altro non sarebbe se non l’equivalente chimico di un grido di dolore.

“Siamo tutti esseri viventi”, risponde Santonastaso. “Chiaramente, per una questione di continuità, è più facile rifiutarsi di mangiare un animale che una pianta, perché un animale lo guardo negli occhi, è simile a me. Ma è vero che in un certo modo siamo condannati a basare la nostra vita sulla morte degli altri, è un stress che può causare problemi, diventare patologia: specie nel caso degli adolescenti”.


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