La psicologia del mercato che manca alla Germania

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Maurizio Ricci

Nella crisi dell’euro in atto ormai da due anni, c’è un fondamentale grumo psicologico che non va sottovalutato. E’ l’incomprensione, pressoché totale, fra i mercati e chi detta la musica in Europa, cioè l’establishment tedesco. A Berlino, anche personaggi navigati come i vertici della Bundesbank e delle grandi banche sembrano far fatica a capire che la moral suasion e gli appelli al senso comune non hanno spazio nel mare aperto dei mercati. Così, i tedeschi non capiscono come mai, se i conti italiani sono in ordine, i Btp continuino ad andar male. Gli sfugge che i mercati, ormai, chiedono altro, e cioè l’intervento a tappeto della Bce, come prestatore di ultima istanza. Berlino sembra sempre presa in contropiede. E’ giusto, in linea di principio che, se una banca fallisce, a pagare siano azionisti e creditori di quella banca, prima della platea dei contribuenti. Non ci si stupisca, però, se i creditori delle altre banche, a questo punto, si ammucchiano verso la porta. Qualche lezione americana non guasterebbe ai tedeschi. Quando ci fu il crac Lehman, l’allora segretario del Tesoro, Paulson, pretese che tutte le grandi banche prendessero soldi dallo Stato. Il contribuente rischiava teoricamente di più, ma il messaggio ai mercati era chiarissimo: dietro le banche ci siamo noi e non molleremo un centimetro. E i mercati ascoltarono.


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