La Diaz e la deindividuazione: mattanza tra psicologia e omertà

<!--
1 Star2 Stars3 Stars4 Stars5 Stars
Loading ...Loading ...

-->

«La Corte ha riscontrato una violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo, a causa dei maltrattamenti […] e di una legislazione penale inadeguata per quanto riguarda sanzioni contro gli atti di tortura e misure dissuasive che prevengano la loro reiterazione» – Corte europea per i diritti dell’uomo, 07/04/2015

— di Edoardo Tozzi

scuola-diazVIOLENZA – “Macelleria messicana”. Così ricordiamo tutti i fatti della Diaz. Il film di Vicari ha riportato alle nostre menti un argomento che troppo impunemente è finito nel dimenticatoio. Amnesty international l’ha definito “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. L’argomento scotta, qualcuno è ancora più scottato, qualcun altro se l’è cavata solo con qualche lieve bruciatura. Eppure, i fatti della Diaz raccontati dal film sono raccapriccianti. Descrivere un avvenimento attraverso delle immagini in movimento ha un effetto ben diverso. Lo scenario e le immagini mostrate sembrano degne del peggior Dario Argento, ma c’è qualcosa che dalla sceneggiatura non traspare. Del resto, come può un essere umano compiere crimini di tale efferatezza?

 .

L’ESPERIMENTO DI ZIMBARDO – Stanford, 1971. Il professor Zimbardo conduce un esperimento dai risvolti drammatici, che ben si presta nella ricerca di una risposta ai fatti della Diaz. Sceglie 24 studenti, filtrandoli per maturità, equilibrio mentale e scarsa propensione a comportamenti devianti. Letteralmente li chiude in una prigione creata ad hoc, dividendoli equamente in guardie e detenuti. Per rendere il tutto più realistico, fornisce a guardie e detenuti tutti i simboli propri dei rispettivi ruoli. Aveva dunque creato in laboratorio ciò che nella realtà avviene quotidianamente. La medesima situazione vissuta dai dimostranti accampanti nella scuola genovese. Difatti, la prigione “finta” era diventata a tutti gli effetti una prigione reale.

Era in atto un forte processo di deindividuazione. Le guardie si sentivano delle guardie a tutti gli effetti, umiliando e violentando i prigionieri, che a loro volta  mostravano chiari segni di disgregazione individuale e collettiva. Nella caserma di Bolzaneto, la situazione era più o meno la stessa. Le “guardie” obbligavano i “detenuti” a stare ore ed ore in piedi contro il muro, senza poter andare in bagno, obbligandoli a defecare e urinare per terra nelle migliori delle ipotesi. I risultati dell’esperimento furono drammatici. Soprattutto per ciò che implicavano nella quotidianeità. Di fatto, i guardiani avevano assunto un ruolo istituzionale, adottando come regole di condotta morale quelle della prigione. I guardiani perdevano l’individualità del proprio ego, rimettendo il significato delle proprie azioni meramente al ruolo dell’istituzione che rappresentavano. Il processo di deindividuazione implica dunque un aumentare di sensibilità rispetto agli scopi e agli ideali di gruppo, in un conformismo diabolico e dagli esiti spesso distruttivi.

 .

stanford-prison-experimentSULL’ONDA DELLA DIAZ – Ora forse è un po’ più facile dare una risposta scientifica alle violenze compiute dalle forze dell’ordine. Se uno studente accuratamente filtrato può arrivare a compiere certi gesti, non stupisce come un servitore dello Stato, probabilmente frustrato e umiliato nella vita di tutti i giorni, riesca a compiere di peggio. Ma si può andare anche oltre. Ottanta persone che perdono la propria identità in favore di un gruppo sono una minaccia, migliaia sono un esercito e milioni, perché no, un intero popolo. Del resto, proprio sulla deindividuazione si sono fondate le più drammatiche dittature della storia. Basti pensare ai nazisti e al loro “stavo solo eseguendo degli ordini“, utilizzato come giustificazione durante il processo di Norimberga.

È possibile oggi ricreare una dittatura come quella nazista, consci degli orrori che essa ha comportato? La risposta in cui tutti spereremmo è quanto mai sbagliata. Nel 1967 un professore californiano è riuscito a ricreare nella propria classe una dittatura del tutto simile a quella nazista. Attenzione, Ron Jones non era un pazzo esaltato, tanto meno un filo nazista. Il suo intento era quello di far capire ai propri studenti quale fosse l’attrattiva esercitata da quella dittatura. E ci riuscì benissimo, come ci ha raccontato il celebre film L’Onda. In pochi giorni, fornendo delle banali e semplici ferree regole ai propri studenti, Jones riuscì a moltiplicare a dismisura l’affluenza alle proprie lezioni. Forse ora, la vostra risposta alla domanda precedente è meno sicura.

 .

FORZE DELL’ORDINE, POLITICA E OMERTÀ – Ma eravamo partiti parlando della Diaz, e con la Diaz concludiamo. Il messaggio veicolato, in special modo dal film, è un messaggio di ingiustizia, di violenza, di abuso di potere. Eppure, leggendo tra le righe, ciò che la Diaz ci racconta è un episodio che spesso viviamo nella nostra società, ovviamente con la radicale differenza che è stato pianificato a tavolino da vertici istituzionali. A livello scientifico, infatti, fenomeni come quello delle baby gang, ad esempio, sono solamente una versione in miniatura dei fatti della Diaz. Il fascismo del terzo millennio rappresenta bene ciò che Ron Jones intendeva dimostrare: il conformismo sociale attanaglia senza via di scampo la nostra mente.

scuoladiaz-586x358

I media raccontano fatti che ci sembrano assurdi e ancora ci si chiede come sia stato possibile che 80 uomini abbiano massacrato dei ragazzi inermi. Eppure la risposta è dietro l’angolo, nascosta dietro un velo di trasparente follia. I gruppi sociali ai quali inevitabilmente apparteniamo influenzano senza possibilità d’appello la nostra condotta e il nostro modo di pensare. Ma siamo noi a rispondere delle nostre azioni, non il gruppo. E’ importante demonizzare la malattia, non il malato. Il gruppo, non la persona. Nel particolare, in merito alla Diaz e ai tanti altri casi di abusi e violenze verificatisi, è sulle condizioni sociali e psicologiche dei membri delle forze dell’ordine, sull’addestramento che ricevono dopo l’arruolamento e sulla natura dell’istituzione della Polizia e delle forze armate che dovremmo riflettere. Un problema che andrebbe affrontato e risolto dai nostri rappresentanti. E di fronte al quale, invece, ci sono soltanto reticenza e, troppo spesso, vera e propria omertà.

-

Share Button

Commenti

commenti

Open bundled references in tabs:

Leave a Reply