Il malato, il medico e Dio

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Corriere della Sera

Convegno all' Assolombarda

«Prendersi cura» Un invito a non perdere la sensibilità della malattia e della morte

Da più parti si afferma che la professione medica sta attraversando una crisi profonda per la pressione della cultura tecnocratica, sempre più concentrata sull' azione del curare (to cure) la malattia e sempre meno su quella del prendersi cura (to care) del mondo affettivo, relazionale, psicologico e spirituale del paziente. Una crisi che rischia di oscurare quel connubio tra corpo e spirito, scienza e carità, teologia e biologia, fondamento della medicina intesa in senso ippocratico. L' Associazione medici cattolici di Milano invita a riflettere su questo reale pericolo oggi all' Assolombarda nel convegno dal titolo «La dimensione antropologica e teologica della malattia». Non è un incontro di politica sanitaria, ma un tentativo di riportare la malattia nel suo giusto alveo, cioè una condizione che fa parte del mistero della vita, che porta a rivedere il nostro esistere nell' ambito di una visione trascendentale, come suggeriscono i passi biblici che verranno letti negli intervalli tra le varie relazioni. L' essere malati non è un semplice incidente di percorso, non è una parentesi spiacevole della vita, non è solamente una questione medica, è soprattutto una rivelazione della nostra finitezza, uno strappo improvviso dell' autosufficienza. Nel convegno si parlerà di «resilienza», termine che la psicologia ha preso in prestito dalla meccanica per indicare la capacità del malato di assorbire un «urto», come la malattia, senza però «frantumarsi». Un urto che secondo la logica di una filosofia retributiva viene interpretato come conseguenza del «male», del «peccato», una ribellione della natura oggi violata dalla manipolazione ambientale e del corpo umano. Giobbe e altre figure bibliche sono il paradigma di questa avventura che mette in crisi i legami tra creatura umana e divinità, insinuando la percezione che Dio è direttamente coinvolto nell' insorgenza della sventura e che la guarigione significa perdono. Ma Giobbe, all' inizio arrabbiato, alla fine si sente amato, perché la malattia porta con sé una rivelazione alta; essa è per assurdo un dono che ci obbliga alla conversione. In questa visione della sofferenza si parlerà anche dei viaggi della speranza a Lourdes, dove si respirano segnali di trascendenza e dove si vive un' esperienza che cattura anche i non credenti. Il convegno è un invito ai medici a non perdere la sensibilità di fronte agli interrogativi che riguardano il mistero della malattia e della morte, perché «il medico è stato creato da Dio e da Dio ottiene sapienza». *presidente Associazione medici cattolici

Lambertenghi Giorgio

Pagina 7
(26 novembre 2011) - Corriere della Sera

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