Il Friuli – Psicologia della giustizia

16/08/2015

Figlio di una famiglia semplice, orfano di padre a dieci anni, con studi in collegio, la laurea e il debutto nella professione forense con un approccio innovativo fin dall’inizio, poi una lunga serie di successi e oggi uno dei nomi di prestigio dell’avvocatura friulana. Sembra una storia d’altri tempi, invece, è quella di Luca Ponti, classe ’59, legale specializzato in diritto commerciale, conosciuto e apprezzato perché lungo la sua brillante carriera ha sempre saputo interpretare, anzi sfruttare, le novità.

Le imprese cosa chiedono oggi al proprio avvocato?
“Anche nel settore delle professioni oggi tutto è cambiato. Mi viene spesso da pensare che, quando ho iniziato nel 1986, gli avvocati usavano con estrema frequenza frasi in greco e latino, mentre oggi è necessario conoscere bene internet e l’inglese. Appena pochi decenni fa, poi, l’onorario del legale era calcolato sulle ore di lavoro, così che chi impiegava più tempo era considerato più bravo e per tanto pagato di più. È un criterio che oggi non è più sostenibile: le aziende hanno bisogno di risposte immediate, consulenze veloci e pagano solo in base al risultato che il professionista è stato in grado di ottenere”.

In Italia quanto pesa l’incertezza del diritto sulla ripresa economica?
“L’analisi più opportuna, credo, è di carattere antropologico. Il diritto, infatti, è espressione della cultura di un popolo. Se in alcuni Paesi la giustizia risulta più efficiente è perché la cultura di riferimento è basata su valori forti. In Italia lo spirito individualista caratterizza tutte le espressioni della società, diritto compreso. Quindi, una giustizia confusa non è causa, ma effetto della confusione di valori che caratterizza oggi il nostro Paese”.

Le aziende, oltre alle classiche variabili di mercato, devono tenere in conto sempre più spesso del ‘rischio fiscale’, che può causare anche il tracollo, come è successo al gruppo friulano Bernardi. Come si può gestire ed, eventualmente, prevenire questo ostacolo?
“È certamente un tema contradditorio. Il sistema giuridico si dibatte sulla parità dei diritti dei creditori, però, dopo averlo enunciato, assistiamo nelle procedure a una montagna di privilegi, con in testa quelli riservati proprio al Fisco. Questi privilegi si accompagnano, poi, anche ad azioni preventive, come i sequestri per equivalente, che paralizzano un’azienda togliendole ogni spazio di manovra patrimoniale e finanziario. Capita così che entri in difficoltà, nonostante al termine del percorso giudiziario si scopra innocente. Il danno, però, è ormai già stato fatto”.  

Quale dovrebbe essere il livello d’allarme nell’economia friulana per i fenomeni malavitosi?
“Da cittadino sono convinto che, ormai, siano presenti anche nella nostra regione. Per fortuna, oggi le Procure di provincia non hanno nulla da invidiare a quelle delle grandi città e hanno, cioè, tutti gli strumenti, professionali e tecnici, per intervenire su questi fenomeni. Il problema, però, è che spesso la malavita opera nell’ombra sfuggendo ai controlli fiscali incrociati ed è, quindi, necessario un’attività di indagine ad hoc per individuarla”.

È possibile fare carriera senza essere dei figli di papà?
“Con tutti i limiti della mia persona, posso affermare che è possibile. Penso che chiunque possa conquistarsi uno spazio in qualsiasi settore. È chiaro che, comunque, per l’ascesa professionale e sociale qualcuno può permettersi di prendere l’ascensore, mentre altri sono costretti a fare le scale”.

Di quali cause, da lei seguite, va più orgoglioso?
“Nel penale il processo fallimentare Cogolo e il caso Benvenuti, che è stato uno dei primi della Tangentopoli friulana. Nel campo civile, invece, la maggiore soddisfazione è quando si riesce a sedare una lite trovando un accordo tra le parti, come sono riuscito a fare tra i soci della Lima, dopo aver assicurato il governo al vecchio gestore, rasserenando tra loro i rapporti e facilitandone la ripresa, senza bisogno di una sentenza”.  

A proposito di Tangentopoli in Friuli, che valutazioni può fare a molti anni di distanza?
“Fu una stagione in cui la magistratura fece talvolta un uso distorto della pressione psicologica per perseguire la ricerca della verità. È un metodo da Stato di Polizia in cui la stessa ricerca della verità, o di quello che si ritiene tale, diventa una droga da cui è difficile tornare indietro e tutti ne diventano prigionieri e vittime.
Di fatto, questo ha portato a un azzeramento della classe dirigente politica del tempo, lasciando senza guida la società dall’oggi al domani. Come si può pensare di mandare avanti uno Stato o una Regione se, tutto a un tratto, i suoi vertici vengono messi fuori gioco? Credo che i danni sociali causati da Tangentopoli, quindi, furono superiori a quelli patrimoniali generati dai tangentisti”.

Oggi, lo scandalo si chiama Rimborsopoli, ovvero le contestazioni fatte ai consiglieri regionali per spese personali rimborsate poi con soldi pubblici, e lei difende diversi consiglieri e gruppi consiliari. Ci sono differenze?
“Rispetto a episodi accaduti in altre parti d’Italia, come a Roma, le contestazioni fatte ai consiglieri regionali del Friuli Venezia Giulia riguardano piccole spese che la Procura considera al di fuori del loro mandato istituzionale e che, appunto, vengono contestate solo oggi, con normative, oggettivamente dubbie nei significati applicativi, entrate in vigore da moltissimi anni e senza mai contestazione da alcuno ancorché le prassi fossero le medesime. Anche questa volta, quindi, c’è il rischio di fare di tutta l’erba un fascio”.
   
Si può essere innovativi anche nella professione forense?
“Certamente sì. All’inizio della mia carriera, ricordo che fui tra i primi in Italia a utilizzare il sistema Videotel per dare consulenze telematiche alle aziende. Al tempo, infatti, la maggiore difficoltà nel campo forense era l’accesso alla conoscenza, appannaggio solo dei grandi studi legali che potevano permettersi biblioteche intere. Oggi, invece, grazie alle tecnologie questa conoscenza è molto più democratica. A fare la differenza nella nostra professione sono altre componenti: la strategia, la semplificazione, la sintesi, la velocità e anche la psicologia”.

Oggi pensa che in Friuli ci sia un deficit di classe dirigente?
“Le attuali istanze sociali sono di una complessità inimmaginabile. Faccio alcuni esempi. Affrontiamo l’emergenza profughi in un momento di estrema scarsità di risorse economiche e con un concetto di territorialità che conta sempre meno. In economia, poi, le crisi aziendali sono determinate solo in parte dalle scelte dell’imprenditore, ma sono più spesso legate a deficit di sistema, dall’organizzazione infrastrutturale alla burocrazia. Inoltre, in tutti i settori, i tempi di risposta sono sempre troppo lenti rispetto ai cambiamenti”.

Rispetto a diversi suoi colleghi di fama, lei non siede in nessun Cda di società riferibili al pubblico e, quindi, legate a scelte dei politici. Perché è assente dai salotti di palazzo?
“Per uno abituato come me a mettersi in discussione, potrei rispondere semplicemente che non piaccio. Però, nell’attuale vicenda di Rimborsopoli, hanno chiesto il mio patrocinio politici di quasi tutti gli schieramenti. Questo significa che mi apprezzano anche se non ho alcuna targa politica, oppure proprio per questo”.

Nel suo curriculum scrive che dopo tante esperienze fatte, ha concluso che il lavoro non solo nobilita, ma anche ‘redime l’uomo’: oggi la mancanza del lavoro mette a rischio, oltre al benessere, la nostra stessa civiltà?
“Nella mia vita, fatta anche di sacrifici, sono giunto alla considerazione che si può fare a meno di tutto, ma non del lavoro, ovvero dell’attività che realizza l’uomo e gli consente di perseguire qualsiasi obiettivo. Oggi, proprio il lavoro è uno dei valori più minacciati, non solo perché è indubbiamente calata la domanda di occupati, ma anche perché c’è meno adattabilità da parte degli stessi lavoratori”.

Avvocato e romanziere: ha appena pubblicato il suo primo libro “Il ballo di Castano. La goccia che cade non si spegne” e continua a scrivere novelle che vedono protagonista l’enigmatico personaggio di Castano Dittongo. La scrittura è la sua valvola di sfogo?
“Mi ritengo una persona creativa e, parallelamente alla professione, ho sempre coltivato la passione dello scrivere perché mi consente di straniarmi e cambiare prospettiva di lettura delle cose e proprio questo mi permette di capire meglio la realtà”.


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