Il doping nello sport: un problema per tutti

Il doping nello sport è un problema… Decisamente un problema. Si può tranquillamente dire che nello sport, se c’è un problema, uno vero (altro che perdere uno scudetto) è proprio il doping. Questo perché, tutto ciò che accade sul campo, in fin dei conti, dovrebbe essere a qualsiasi livello puro diletto. Una di quelle cose che, una volta finite, le possiamo lasciar lì e riprendere nella domenica successiva, come se niente fosse. Dico dovrebbe perché tutti sappiamo quanto poi, nella realtà dei fatti, in troppi e fin troppo si esaspera nella visceralità del proprio essere sportivo. Questo però è anche il bello di questo mondo.

Il doping no. Non ti aspetta alla domenica successiva. Non ti lascia e diventa parte vincolante della tua esistenza superando i confini del “semplice divertimento” e andando a modificare radicalmente le vite delle persone.

La verità è che quando si presentano casi di doping di alto livello, un brivido freddo percorre la schiena di chi in questo settore cerca di fare un po’ di cultura. Questo per un semplice motivo… Facciamo un esempio un po’ fuori contesto: un noto calciatore (il più noto) sta promuovendo un’applicazione “social” per smartphone. Il risultato è che nell’arco di… un giorno (probabilmente), quest’app è diventata la più scaricata del mondo. E’ bastato scegliere la persona in grado di muovere intere flotte di adolescenti.

Tornando al nostro discorso sul doping, possiamo ricavarne che il potere di un testimonial dello sport vale più di mille incontri di sensibilizzazione atti a prevenire comportamenti sbagliati. Ma ciò è altrettanto valido anche nel caso opposto, cioè quando è proprio l’atleta professionista a compiere degli errori, che si rifletteranno sul quel “flusso culturale collettivo” che caratterizza i più giovani: “hanno beccato tizio! Si dopa da una vita!” “Beh, sai che scoperta! Come fanno quelli lì a fare quella roba là senza prendere nulla?! Maddai!”.

E così si insinua l’idea (SBAGLIATISSIMA), che se lo fa lui allora è una cosa che in fin dei conti si può fare, che non succede nulla, che sia normale.

Idiozia. Quando si prendono delle sostanze illecite i conti si fanno sempre, prima o poi. Eviterò di elencare la lista degli effetti collaterali delle diverse sostanze dopanti. Vi basti sapere che la morte non è l’esito peggiore in molti dei casi (conclamati e confessati) di doping. Purtroppo l’idea aspirazionale di una vita migliore, di poter diventare degli idoli di altri ragazzi, di avercela fatta è più appetibile della dura realtà fatta di conseguenze negative sul proprio corpo, sulla propria mente e sulle proprie relazioni.

Una cosa che tutti ignorano è che, in fin dei conti, se il proprio desiderio è quello di riuscire a “sfondare” nel mondo dello sport, per farlo le assolute discriminanti sono solo le capacità tecniche dell’atleta e la sua costanza nell’allenamento. Il doping di per sé non può sostituire in quelle fasi la “sostanza vera”, quella fatta di carne ed ossa, pertanto a conti fatti esso risulta pressochè inutile nella “scalata” al vertice dello sport.

Più verosimilmente il doping si può situare là dove il risultato sportivo diventa l’ultimo (e unico) obiettivo primario, quindi ben oltre l’iniziale desiderio di essere riconosciuto come atleta bravo, sia socialmente che economicamente, se vogliamo dirla tutta. Ma a quel punto se l’atleta non è riuscito a comprendere che l’essere là nell’elite è stato frutto di impegno e fatica “positiva” e che così deve essere per rimanerci il più a lungo possible, allora il problema è nella carenza delle sue “sostanze psicologiche” che non sono state sviluppate correttamente nel tempo, piuttosto che dalla mancanza di un “aiutino” chimico.

Esistono alcune “motivazioni” che tipicamente vengono indicate per giustificare l’uso di sostante dopanti. Le vedremo nel dettaglio nei prossimi articoli.

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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport

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