Gli Usa studieranno la psicologia dell’Isis

Il punto è capire se quella degli Stati Uniti sia un’ulteriore – e si spera cruciale – mossa per combattere lo Stato Islamico, se invece rappresenti un sintomo di  presa di coscienza di un problema ben più trascendentale di un semplice fenomeno jihadista, o se mostri un ultimo – e disperato – tentativo di comprendere un’emergenza che pare senza soluzione.
Come spesso accade, la verità va ricercata nel mezzo.
Sotto questa luce, forse, andrebbe letta la notizia della decisione delle forze militari statunitensi di studiare la psicologia dell’Isis, per capirne le sue dinamiche: dal reclutamento, al mantenimento consensuale delle sue reclute, fino ad arrivare alla pervasiva, e purtroppo, molto efficace propaganda.
Il New York Times avrebbe riportato alcune dichiarazione fuoriuscite dai verbali del meeting militare: “Non abbiamo capito il movimento e fino a quando non lo faremo, non lo sconfiggeremo” ha affermato  il generale Michael Nagata, comandante delle Operazioni Speciali americane in Medio Oriente. Un’ammissione non da poco quella di Nagata, in perfetto “stile Obama 2014″, lanciato verso un processo di riforme, dichiarazioni e decisioni esecutive basate più sull’efficienza e l’utilità piuttosto che sul consenso elettorale.
Dunque il generale Nagata avrebbe formato una task force, unendo in maniera sinergica le forze di Pentagono, Dipartimento di Stato e servizi di intelligence.
Fondamentale, secondo le forze militari statunitense, sarebbe comprendere “l’abilità dell’Isis di controllare” la popolazione. Ora, togliendo un poco di aura mistica all’ideologia Isis concessa dagli States, non c’è dubbio che buona parte del consenso dello Stato Islamico capeggiato dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi – oltre che dalle innumerevoli forme di finanziamento che ne riempie le tasche – si nutrisca di una legittimazione del potere, e di una propaganda, che per forma e sostanza appare senza precedenti.

Si è spesso parlato dell’ineluttabile attrazione seduttrice dell’ l’Isis che avrebbe portato centinaia di reclute da tutto il mondo nelle proprie fila. Ma il persistere, e la costante crescita del califfato – nonostante alcune sconfitte militari- fa apparire la questione ben più sottile di quanto potesse apparire in passato.

Quando usiamo le parole barbarico, oltraggioso ed incivile, facciamo il gioco dello Stato islamico: loro vogliono trascinarci sul terreno emozionale”, ha detto Michael Nagata. La sensazione è che su tale campo, l’Isis abbia già vinto diverse battaglie.

Non si sa in cosa consisterà questo studio psicologico con focus d’indagine su un neo stato fondamentalista islamico diramato in due stati-nazioni diversi con dinamiche alquanto oscure.
Di sicuro, e queste sono le esili informazione a disposizione, verranno coinvolte persone nate, cresciute e stabilizzate in Medio oriente, in grado di subire, controbilanciare e valutare la propaganda dell’Isis sopratutto sui Social Network, suo araldo principale.
Come in anni passati dunque, la battaglia contro lo Stato Islamico non coinvolgerà solo bombe, armi, finanziamenti, compromessi economici, diplomazia e giochi di potere. La guerra contro il califfato avrà principalmente un volto ideologico, uno scontro fra paradigmi culturali, ideologici e di propaganda che – con le giuste e ovvie differenze contestuali – potrebbe ricordare quella contrapposizione di ideali condotta da Stati Uniti e Unione Sovietica negli anni della Cortina di Ferro.

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