In diverse occasioni mi è stato chiesto, come psicoanalista, un parere sulla nuova psicologia dei giovani. Quasi con sorpresa, quasi all'ultimo momento, in questi dibattiti ci si accorgeva che non disponiamo di studi organici su un fenomeno fondamentale come il ricambio di mentalità: eppure, anche i profani intuiscono che negli ultimi dieci o venti anni vi sono stati, nella comunicazione e socializzazione giovanile, cambiamenti più radicali ancora di quanti ne avesse portati l'intero secolo XX.
La cultura della nuova generazione è trasmessa dai nuovi mezzi comunicativi, ma è anche causata da essi. Ormai, i giovani scambiano fra loro più parole per cellulare o per internet che discorrendo di persona. E imparare a essere adulti consiste sempre più in questa comunicazione tecnologica con coetanei che, a loro volta, vogliono apprendere la stessa cosa. Il fatto che l'iniziazione alla maggiore età di tipo "verticale" sia stata sostituita con un "apprendimento orizzontale" non dipende dunque soltanto dalla scomparsa dell'attaccamento patriarcale, di cui i decenni precedenti avevano discusso, ma dalla centralità ineludibile delle nuove tecnologie con cui si comunica. In un numero crescente di casi (ben difficile da quantificare, ma che a seconda delle stime e dei Paesi può raggiungere i milioni), per i giovani questi modi di comunicazione corrispondono ormai, in pratica, alla totalità della comunicazione.
Naturalmente anche i loro genitori, i "grandi" (è interessante come oggi, a differenza di una generazione fa, il trentenne non dica di un quarantenne: «Ha più anni di me» ma: «È più grande di me», come se l'altro abitasse in una dimensione per lui "altra", che non viene raggiunta semplicemente lasciando passare il tempo), usano il telefono portatile e il computer. Ma questo significa ben poco: gli adulti li impiegano soltanto come strumenti, così come, seguendo il progresso, dopo il treno hanno imparato a prendere l'aereo. I giovani invece non hanno semplicemente comprato quegli strumenti: sono stati educati, iniziati, alla vita da essi. Sono figli della comunicazione elettronica almeno quanto sono figli dei propri genitori. Sono usciti da quell'utero tecnologico.
Su questa sconvolgente novità abbiamo ben pochi studi proprio perché lo sconvolgimento è radicale e continuo: la psicanalisi o la sociologia non fanno a tempo a condurre indagini approfondite che le condizioni già sono cambiate. Anch'io, dunque, potrò fare solo limitato riferimento a studi complessivi esistenti. Cercherò di offrire punti di vista non verificati, tuttavia vero-simili.
Alla crescita quantitativa dei mezzi di comunicazione ha indubbiamente corrisposto, soprattutto in Italia, un loro peggioramento qualitativo. Così, chi appartiene a una generazione precedente e oggi si china sui ventenni per capirli teme spesso di incontrare una nuova classe anagrafica più conformista, disinformata e passiva delle precedenti.
Clicca per Condividere
©RIPRODUZIONE RISERVATA