fuoriclasse Conte


Grinta e lavoro fuoriclasse Conte


TORINO - Lui direbbe: "Nel mio piccolo, può essere". Però non è un'esagerazione così scriteriata affermare che Antonio Conte rappresenti una via di mezzo - o, meglio, una sintesi - tra Pep Guardiola e José Mourinho. Del catalano condivide la visione, quasi l'utopia di un calcio diverso, audace, emozionante, divertente. "Il modello cui dobbiamo tendere è il Barcellona. È quella la strada". Del portoghese ha studiato i trucchi, le malizie, le furbizie, le provocazioni, per certi versi il linguaggio, la gestione mediatica non soltanto di se stesso ma del club intero che si identifica in lui, e che lui identifica sotto ogni aspetto. Anche per questo è un tipo che non può risultare indifferente: chi è dalla sua parte lo adora, che è dall'altra finisce per detestarlo. Ma chi ama il bel calcio non può che apprezzarlo, applaudirlo e anche ringraziarlo. "Non crediate che io sia così perché juventino. Io sono così ovunque, lo sono stato ad Arezzo e a Siena, a Bari e a Bergamo. E lo sarei anche se allenassi l'Inter". La persona, e il personaggio, non appartiene a nessuna categoria, non conosce mediazioni né compromessi, reclama il diritto di essere com'è e il suo modo di essere lo sta ripagando, indubbiamente. Ha avuto la fortuna di avere grandi maestri: è cresciuto con Fascetti e Mazzone, si è affermato con Trapattoni, ha dato il meglio con Lippi, è stato il capitano di Ancelotti e da tutti ha preso qualcosa, anche se l'allenatore al quale si sente maggiormente vicino è Arrigo Sacchi, conosciuto in Nazionale, che difatti resta il suo interlocutore privilegiato, il consigliere più assiduo. Come l'ex cittì, vive il calcio in maniera febbrile, per il suo lavoro ha un assorbimento totale, se ne lascia impadronire e anche consumare. "Se continuo così, non durerò a lungo", dice. Sacchi ha avuto la sua stessa sindrome, Guardiola pure ("Lo capisco, è un lavoro che ti prosciuga"), ma lui non accetta di essere "solo" un allenatore: studia tattica, tecnica, psicologia, medicina, fisiologia, marketing e comunicazione. Passa notti insonni, oppure si sveglia all'alba e già ragiona, e spesso decide prima che spunti il sole. Chi lo segue, ne trae vantaggi enormi e per confermarlo basterebbe un sondaggio tra i suoi ex giocatori di Bari e Siena, o tra questi della Juve. Chi lo digerisce, va allo scontro: è successo a Bergamo ma anche qui, perché Krasic ed Elia sono stati rimossi, Ziegler è stato accantonato subito, chi non si sintonizza finisce fuori onda.

Parlandone  come di un allenatore e basta, Conte è davvero un fuoriclasse. Aveva impostato la sua carriera su un marchio di fabbrica, il 4-2-4, che non ha però esitato a rinnegare quando ha capito che qui non avrebbe attecchito. In fondo, questa grande Juventus è nata da un errore: dopo un'estate passata a reclamare e setacciare interpreti per quel sistema di gioco, Conte e Marotta hanno dovuto prendere atto di avere sbagliato delle scelte,  e c'è stata la conversione. Gli esterni si sono rivelati inadatti ma, soprattutto, i centrocampisti dovevano indossare un altro modulo su misura per loro. Già Pirlo e Marchisio, due che Conte si è ritrovato e che non poteva certo scaricare, non erano adatti al 4-2-4. Così come non lo era Vidal che allo stesso modo, essendo molto forte, non poteva certo essere emarginato. E nemmeno Matri, centravanti titolare, aveva le caratteristiche che l'allenatore cerca nella punta centrale, e che poi ha in parte trovato in Borriello e Quagliarella. Così Conte è approdato al 4-3-3 e alla variante del 3-5-2 passando attraverso il 4-1-4-1, rimodulando schemi e posizioni ma non rinnegando la sua filosofia, basata principalmente sul possesso palla, sulla rapidità di esecuzione, sulla volontà totale di mantenere il baricentro della squadra nella metà campo avversario, sul ritmo, sull'aggressività del pressing. Anziché poggiare il gioco sulle ali, lo ha fatto con le mezze ali: il segreto della Juve, che pure ha una fase di possesso superiore a qualunque altra squadra di serie A, è paradossalmente il suo gioco senza palla. I bianconeri sono inarrestabili quando Marchisio e Vidal si buttano negli spazi e Pirlo li lancia, oppure Vucinic o gli altri attaccanti fanno sponda per loro, liberandoli davanti al portiere. Se alla squadra manca un bomber matricolato (l'unico in doppia cifra è Matri), è anche perché gli schemi di Conte non prevedono di concludere le azioni con il passaggio al centravanti, che invece lavora soprattutto di sponda. Ci fosse stato un cecchino da venti reti, insomma, è probabile che Marchisio e Vidal non avrebbero segnato così tanto. Nella Juve sono andati in rete in diciotto, praticamente tutti tranne Barzagli: la Juve è una macchina da guerra basata sulla collaborazione, il vero fuoriclasse è l'allenatore, il valore aggiunto sono gli schemi mandati a memoria. Alla Juve, mai nessuno deve improvvisare.

Conte è davvero qualcosa in più, al punto che importa poco che risulti simpatico o antipatico: quello che interessa è cha sia bravo. Quest'anno ha sbracato soltanto quando ha agitato il fantasma di Calciopoli, denunciando un inesistente complotto ai danni della Juve. Rileggendo la storia del campionato, però, è probabile che quella fosse strategia, non verità. Perché Conte si agita, si sbraccia, urla, perde la voce ma è estremamente lucido e freddo, soprattutto quando è sotto pressione. E questa è un'altra delle sue virtù.


(06 maggio 2012)
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