Fuori Expo: alimentiamo la mente

Anche l'Ordine degli Psicologi della Lombardia partecipa a Expo 2015 con un progetto per.... alimentare la mente. E' stata infatti inaugurata proprio ieri sera a Milano la Casa della Psicologia che accoglierà in Piazza Castello cittadini e professionisti e organizzerà un ciclo di eventi su diversi temi.

Il primo attualissimo tema trattato riguarda la violenza di genere. Soprattutto negli ultimi anni abbiamo sentito molto spesso dalle cronache storie di violenza e maltrattamenti sulle donne, che poi sono sfociate in omicidi. Si tratta di un fenomeno sommerso e trasversale che non riguarda ovviamente solo la clinica, ma richiede l'intervento sociale, giuridico, preventivo e riabilitativo.

A Milano ormai da moltissimi anni è il Centro Anti-violenza della clinica Mangiagalli che si occupa di questo tipo di violenze e di maltrattamenti. Qui giungono donne di qualunque ceto sociale, con culture ed etnie diverse, con storie di vita diverse ma con una caratteristica comune: la storia di maltrattamenti e violenza (fisica o psicologica) era già presente da parecchio tempo, a volte da sempre. Spesso la donna, anche se laureata, talvolta persino avvocata o magistrata non chiama questo fenomeno col suo nome, pur sapendo di essere di fronte ad un reato.

Spesso dice: "Ma era mio marito: lui poteva farlo..." Oppure, per mantenere intatta l'immagine della famiglia perfetta, non porta fuori dalle mura domestiche ciò che accade regolarmente proprio a casa. Perchè regolarmente? Perché parlando con queste donne ci rendiamo conto che anche nella fase in cui sembra che tutto vada bene, in cui magari le percosse sono finite, in cui il partner promette di cambiare, c'è comunque una subdola svalutazione: "Non farmi più arrabbiare", "Non provocarmi", "Che donna insopportabile!", ecc...

Il ciclo della violenza funziona proprio così: alterna fasi in cui alla violenza fisica e/o psicologica ben riconoscibile, si contrappone una fase di "luna di miele".

La donna è fragile in questi contesi, sola ed isolata e inconsapevole. Ci sono anche donne alle quali sono stati i carabinieri a spiegare che ciò che avevano subito era in realtà un reato. Queste donne perdonano e perdonano il loro uomo maltrattante. Sempre. A volte per i figli, a volte perché sperano nel cambiamento, altre volte perché credono loro per prime che la donna debba essere sottomessa e subire il dominio dell'uomo. 

La stessa fragilità è presente negli uomini che hanno commesso un reato di violenza sessuale e che sono stati condannati. 

Un dato inquietante che riguarda il fenomeno è proprio il modo subdolo con cui la violenza psicologica si fa strada nella vita di queste donne. Spesso il loro uomo appare solo un po' geloso, talvolta non vuole che la propria compagna abbia un lavoro, altre volte il controllo passa attraverso l'umiliazione e la svalutazione anche in pubblico.

Se da un punto di vista giuridico molti passi sono stati compiuti, passando dal delitto passionale o raptus al femminicidio e riconoscendo nella violenza un reato in cui l'uomo è responsabile senza nessuna scusante (es "ma lei mi ha provocato", "è proprio una donna irritante", "si veste come una poco di buono", "è una poco di buono, va con tutti", ecc...) nulla è cambiato per quanto riguarda ciò che la società pensa riguardo la violenza e in particolare la violenza sessuale sulle donne e le donne.

Ricordate "Processo per stupro", trasmesso da Rai nel 1979? In quel documento si assisteva alla confusione tra vittima e stupratori e al ribaltamento di ruoli, nel senso che la vittima paradossalmente veniva investita di responsabilità e colpa per la violenza sessuale subita. "Se è accaduto, è perché lei se lo è cercato...". La donna è colpevole di aver istigato un uomo con comportamenti ambigui. L'uomo tendenzialmente è innocente, perché certamente -secondo questa logica perversa- all'uomo spetta il dominio sulla donna e se viene provocato da una donna, non può fare altro che rispondere. 

Ancora oggi è presente questa cultura sessista a Milano e in Italia.

Questa è la vera ragione per cui oggi le donne non denunciano i reati di cui sono vittime. Sanno bene che il trauma non finisce dopo la violenza, ma nasce nuovamente nel momento in cui decidono di affrontare un procedimento penale per stupro, perché nell'opinione della gente nascono spontaneamente affermazioni quali "Se ha accettato il suo invito a cena è perché anche lei voleva che...", oppure domande come "Ma lei che cosa ha fatto per provocarlo?"

Io sogno un futuro in cui possa esserci la prevenzione per situazioni di questo tipo, e che possa esserci soprattutto la prevenzione e l'educazione con bambine e bambini di oggi che saranno le donne e gli uomini di domani, affinché la nostra cultura sessista possa cambiare riconoscendo alla donna la piena dignità, libertà e parità. Ovviamente tutto ciò non è appannaggio esclusivo degli psicologi, medici, magistrati, educatori... ma riguarda tutti, perché chiunque può e deve contribuire a cambiare la cultura fondamentalmente sessista in cui ancora oggi in Italia viviamo.

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