Con la collaborazione del professor Maurizio Pompili, docente di psichiatria dell’Università “Sapienza” e specialista dell’ambulatorio di psichiatria dell’Ospedale S. Andrea di Roma (maurizio.pompili@uniroma1.it)
Una voracità atavica che inghiotte tutto quello che le si para davanti. Non è solo questo la bulimia, la cosiddetta “fame del bue” da cui prende origine il nome. È anche quell’elenco di azioni compensatorie che il paziente affetto adotta per liberarsi dal peso della grande mangiata. Come per l’anoressia, altro disturbo del comportamento alimentare, anche la bulimia porta conseguenze rischiose all’organismo: l’eccessiva magrezza e altre complicanze legate al vomito autoindotto.
Quando si può diagnosticare?
“In termini generali si parla di bulimia con riferimento a ricorrenti episodi di abbuffate, ossia assunzione, in un periodo definito di tempo (per esempio due ore), di una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili. Inoltre, si aggiunge la sensazione di perdere il controllo durante l'episodio: per esempio di non riuscire a smettere di mangiare o controllare la quantità e il tipo di cibo che si sta ingurgitando”, spiega il professor Maurizio Pompili, docente di psichiatria dell’Università La Sapienza e specialista dell’ambulatorio di psichiatria dell’Ospedale S. Andrea di Roma. Per il paziente, femminile due volte su tre, l’ossessione è quella di trovare un modo per cancellare l’abbuffata a cui non ha saputo porre un freno, tramite ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’altra principale idea fissa: l'aumento di peso. Si va dal vomito autoindotto, l’uso inappropriato di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci. Al digiuno o l’esercizio fisico eccessivo. “Sia le abbuffate sia le pratiche compensatorie inappropriate si manifestano, in media, almeno 2 volte alla settimana per 3 mesi”, aggiunge Pompili. Il disturbo spesso si accompagna all'ansia e a sintomi depressivi, “ciò premesso, - raccomanda lo specialista - la richiesta di aiuto è fondamentale e deve essere quanto più tempestiva possibile allo psichiatra”, o comunque al medico di famiglia che possa indirizzare verso la figura di assistenza più adeguata.
Alle origini della fame
Non una ma tante. Le cause del disturbo, così come per l’anoressia, sono diverse. “I fattori biologici ci portano ad una riduzione dell'attività della noradrenalina e della serotonina - continua lo psichiatra del S. Andrea -, i cui livelli plasmatici sono aumentati in alcuni pazienti bulimici che presentano vomito. Quelli sociali si riconducono all’importanza che viene data alla magrezza e dunque allo stereotipo di donna perfezionista e orientata al successo. Poi vi sono i conflitti familiari che assumono un ruolo fondamentale: le pazienti hanno difficoltà a venire incontro alle esigenze dell'adolescenza con scontri riferiti alla figura materna e timore di lasciare la famiglia dopo la scuola”. Sono considerati altri fattori la depressione, l’obesità e la familiarità legata a questi due disturbi.