Dentro di noi è il gioco, non la psicologia

Tomas Szasz, il cosiddetto «antipsichiatra», scrisse che «non esiste la psicologia: esistono solo biografie e autobiografie». Non viviamo la nostra vita motivandoci con inganni e strategie: non possiamo prenderci in giro troppo a lungo. Nella nostra vita non dobbiamo farci relegare in un ruolo secondario solo perché ci rifiutiamo di cercare nuove sfide ed evitiamo le responsabilità. Il gioco che si svolge dentro di noi è il gioco, non è psicologia. È la vita come dovrebbe essere vissuta, un’autobiografia in divenire.

Mia madre ebbe un’idea. Il giorno prima dell’inizio del torneo mi disse: «Garik, questa volta ce la puoi fare, ma voglio che prima di ogni incontro impari a memoria alcuni versi del poema Evgenij Onegin di Puškin per acuire i tuoi sensi». Seguendo le sue istruzioni, riuscii a distrarmi dall’ansia grazie a quella «penna magica» e vinsi il primo incontro, recuperando la fiducia in me stesso. Alla fine non solo raggiunsi un punteggio sufficiente alla qualificazione per il titolo di Maestro ma addirittura vinsi il torneo, con un piccolo contributo del nostro poeta nazionale.

Molti giocatori importanti del passato hanno realmente sofferto di disturbi psichici durante la loro carriera o dopo. Il campione tedesco Kurt von Bardeleben si suicidò lanciandosi da una finestra nel 1924, come fa Lužin nel romanzo di Nabokov. Il primo campione del mondo ufficiale, Wilhelm Steinitz, nei suoi ultimi anni dovette combattere con ricorrenti disturbi mentali. Uno dei più famosi giocatori del primo quarto del Novecento, Akiba Rubinstein, era affetto da una forma patologica di timidezza. Dopo ogni mossa, si rifugiava in un angolo della sala ad aspettare la risposta del suo avversario”.

Garry Kasparov, Gli scacchi, la vita, Mondadori

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