"Communal" vs. "agentic": ecco perchè le donne guadagnano di meno

In 70 minuti guadagnano quanto gli uomini in 60; mettono in tasca 80 centesimi ogni 100 dei colleghi maschi. E devono lavorare due mesi in più all’anno per avere una busta paga di ugual peso. L’ennesima Giornata europea per la parità retributiva, celebrata in sordina nonostante la prossimità dell’8 marzo, traduce  nel consueto mix di istogrammi il bilancio delle discriminazioni contro le donne sul lavoro.
E’ vero che il divario salariale tende lentamente a ridursi – dice la vicepresidente della Commissione europea e responsabile per la Giustizia, Viviane Reding, ma le donne continuano a guadagnare in media il 16,5% in meno rispetto agli uomini. Una retribuzione inferiore comporta una pensione più bassa. E, secondo calcoli Ue, il 22% delle donne di 65 anni e oltre sono a rischio povertà, contro il 16% degli uomini.

Del tema si sta occupando anche il Parlamento europeo. “Le conseguenze di un divario salariale vanno oltre il rischio di maggiore povertà: si tratta di una vera e propria discriminazione, che aumenta anche con l’etàâ€�, ha detto Edit Bauer, deputata slovacca e relatrice della giornata della parità retributiva. Il gap – sostiene – incide anche sul tasso di natalità, più elevato nei paesi in cui il divario è minore.

Per promuovere l’�Equal Pay Day�, la Ue ha diffuso anche un divertente videoclip: “State ricevendo il 17% meno di quello che meritate? chiede provocatoriamente,  a corollario delle immagini in cui si vede una cassiera di supermercato sforbiciare le merci nel carrello di quel “quid� che chi fa la spesa non porterà mai a casa. Come arrivare al 100%? Diversi gli approcci: software per analizzare gli scarti salariali uomo-donna (il governo tedesco ne ha introdotto uno nel 2009); premi, concorsi e classifiche per sostenere le imprese impegnate a sostenere la parità dei sessi; sensibilizzazione di datori di lavoro e dipendenti; scambio di good practices delle aziende europee ed eventi nazionali negli Stati membri per diffondere informazioni sulle discriminazioni salariali.

Il fatto che la giornata per la parità retributiva sia stata fissata il 5 marzo, aiuta a “pesare� questo gap: a una donna sono serviti questi due mesi di lavoro in più, nel 2012, per eguagliare lo stipendio del 2011 di un uomo. Nella media, che prende in considerazione la paga oraria, si trovano i picchi dell’Estonia (27%) e la buona performance della Polonia (2%). Col tasso del 5% l’Italia sembrerebbe risplendere nel firmamento dei paesi virtuosi.  In realtà il risultato positivo maschera dati che hanno poco di confortante. Intanto il numero di donne occupate su cui si basa il calcolo è nettamente inferiore alla media europea (46% contro 65%). E poi le donne che partecipano al mercato del lavoro sono in prevalenza quelle che hanno titoli di studio di livello più elevato. In Francia e Gran Bretagna, dove il gap salariale è (rispettivamente) del 17 e del 20%, il mercato del lavoro è molto più aperto alle figure meno qualificate. Come dire che da noi si affacciano al mondo del lavoro solo quelle che hanno migliori chance di guadagnare di più.

“Nel settore privato la disparità retributiva arriva anche al 30%�, rincara la senatrice Pd Vittoria Franco, citando un recente studio commissionato dalla provincia di Bologna. Più negative di quelle europee le medie Istat, che per l’Italia riportano un gap a due cifre, addirittura del 20%, con stipendi netti mensili delle dipendenti di 1.096 euro contro i 1.377 dei colleghi maschi. E anche se l’Italia è all’avanguardia dal punto legislativo (la legge Anselmi sul divieto di discriminazione nel lavoro è del 1977, ndr), sul piano dei fatti le donne scontano il lavoro di cura, non accedendo a straordinari e carriera e usufruendo in maggior misura di part time, congedi di maternità e lavori atipici.

Fin qui la realtà dei dati. “Ma per metterli a fuoco bisogna considerare le stereotipie di genere”, sottolinea Elisabetta Camussi, docente di Psicologia sociale all’università Bicocca di Milano, esperta di Psicologia delle Differenze e delle Disuguaglianze.

“In psicologia del lavoro c’è tutta una linea di ricerca che spiega perché le donne più difficilmente dei maschi si pongono in posizione proattiva. Raramente si candidano per promozioni; o accedono a quei bonus e aumenti di retribuzione che premiano i comportamenti di potere più che di responsabilità, le strutture gerarchiche più che la cooperazione, l’affermazione individuale più che il lavoro di squadraâ€�. Stereotipo vuole che il potere declinato al femminile sia “communal“: basato sulle relazioni, la cura, l’accoglienza. E, al maschile, “agentic“: sintesi di assertività, affermazione di sè, individualismo. “Nel contesto della socializzazione – dice Camussi – si impara che alcune caratteristiche vengono premiate se corrispondono a quelle previste per il proprio genere”.

E c’è di più: quando le donne arrivano alla dirigenza (quel 12% su 97 milioni di lavoratrici che “ce l’hanno fatta�) tendono a lavorare un maggior numero di ore di quanto facessero prima, cercano di dimostrare in ogni momento di meritare il ruolo che hanno conquistato, investono di più sul lavoro. Laddove i maschi tendono a ritenere “ratificato� uno stato di capacità e riducono il proprio impegno e le ore lavorate.

Il gap retributivo, insomma, e le difficoltà nel salire la scala sociale, sono anche figli di rigidità psicologiche e clichè.

E non basta la performance del ministro Paola Severino, re Mida dell’esecutivo Monti con i sette milioni di reddito dichiarati nel 2010, a cambiare la prospettiva. Una carriera da prima della classe e uno studio d’avvocato che è una miniera d’oro, con clienti di primissimo ordine, rappresentano solo “il caso singolo, l’eccezione e l’eccezionalità� che traggono la loro giustificazione “dall’insieme di risorse che la persona ha avuto a disposizione e ha saputo mettere insieme�, prosegue Casmussi. E’, insomma, soltanto uno dei possibili esiti della fatica acrobatica che alcune di noi reggono e altre no. Non certo un esempio di condizioni che garantiscano, fin dall’inizio, a ogni donna che lavora, del tempo per sé, per la cura, la partecipazione. Cioè servizi alla famiglia e distribuzione più equa dei carichi familiari.
Chissà se è questa la direzione verso cui muoverà un governo che, in fase di insediamento, ha preso precisi impegni in favore delle donne.

Anche voi pensate di ricevere un “quid”% in meno di quello che meritate?

 


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