Com’è umano celebrare riti

Carl Gustav Jung, padre della psicologia analitica, in uno scritto del 1939 confessa: «Non posso tornare alla chiesa cattolica, non posso sperimentare il miracolo della messa; so troppo al riguardo. So che è la verità, ma la verità in una forma che non posso più accettare». Cattolica era la famiglia del nonno Carl Gustav divenuto poi protestante in seguito alla predicazione e alla frequentazione del filosofo Friedrich Schleiermacher. Il pensiero religioso e la fede entrano in modo marcato nella formazione di Jung, costituendo un tratto distintivo della sua ricerca e motivo di divergenza con Freud. Nel 1934 scrive: «Sono grato ai miei avi teologi di avermi trasmesso una base cristiana». La sensibilità per gli archetipi religiosi anima una dotta e complessa produzione di saggi che accompagna gli ultimi trent'anni della vita del grande maestro, morto nel 1961 all'età di ottantasei anni.

I testi più significativi di questa stagione sono Psicologia e religione (1938), Saggio d'interpretazione psicologica del dogma della Trinità (1942), Il simbolismo della messa (1942) e Risposta a Giobbe (1952), tutti raccolti insieme a studi sulle religioni orientali nel volume XI dell'Opera omnia edita da Bollati Boringhieri a cura di Luigi Aurigemma.

Il simbolismo della messa viene ora riproposto in volume singolo e la sua lettura acquista un particolare significato in tempi di desacralizzazione e di indifferenza per la dimensione spirituale e il senso religioso dell'uomo. La religiosità e le sue manifestazioni non sono confinabili in un catalogo delle illusioni – sostiene Jung –, al contrario si presentano come peculiarità della storia delle civiltà e di ogni singola persona; il sacro è un'espressione del profondo, influenza la struttura psichica, entra nell'esperienza concreta di ciascuno portando la persona a imbattersi e a scoprire la presenza del mistero nell'esistenza. Che nome dare a questa scoperta? Come definirla? Per Jung si entra nelle mappe della coscienza, nei territori della personalità, nella dialettica tra il Sé e l'Io.

In particolare, lo studio del rito della messa consente di avvicinarsi a «un mistero ancora vivo, le cui origini risalgono ai primordi della cristianità»: si incontra l'essenza e il cuore del cristianesimo. La celebrazione rinnova l'ultima cena di Gesù in compagnia degli apostoli quando viene istituito il sacramento dell'Eucaristia che rende presente e contemporanea, nel pane e nel vino consacrati, la persona di Cristo. Jung compie un'attenta lettura di ogni parte del rito (offertorio, consacrazione, comunione, preghiere dopo la comunione) servendosi dei testi sacri e delle interpretazioni teologiche. Il sacrifico di Cristo, il figlio di Dio, gli consente di rintracciare nella struttura dell'individuo le radici della libertà e la disponibilità al dono e all'offerta di sé. Uno specifico capitolo affronta poi «i paralleli al mistero della trasformazione» recuperando dagli studi etnologici il rito atzeco del «teoqualo» (del mangiare il dio) descritto dal frate Bernardino da Sahagun che fu missionario in Messico dal 1529; oltre al teoqualo, Jung propone, descrive e spiega la visione di Zosimo di Panopoli, filosofo e alchimista del terzo secolo, che, nel sonno, si imbatte in un sacerdote sacrificante, Ion, dal quale apprende misteriosi tormenti.

Jung mostra tutta la sua curiosità nella ricerca delle tracce antropologiche e nella lettura delle risposte date al divino e al mistero dell'esistenza. L'indagine diventa ricostruzione di riti, scoperta di simboli, esame di testi e frammenti scritti provenienti dalle tradizioni filosofiche, alchemiche, magiche. Ci si imbatte in un capitolo denso di conoscenze esoteriche e di rimandi a libri di storia delle religioni, a trattati gnostici e a racconti tratti dai classici. Tutti materiali che porteranno alla composizione del tanto citato Libro rosso pubblicato nel 2010 da Bollati Boringhieri.

Jung nel saggio Il simbolismo della messa non si pone intenti dottrinali, pur riconoscendo al cristianesimo una grandezza che altre fedi non posseggono. Afferma, invece, che la messa «si può chiamare rito del processo d'individuazione», un'esperienza che trasmette «l'unità della molteplicità, l'uomo unico in tutti» che, in psicologia, costituisce un tratto distintivo dell'inconscio.

Il cristianesimo arriva così a trasformare le antiche celebrazioni dei misteri riservate a pochi eletti in «manifestazioni pubbliche, rendendo quante più persone possibili partecipi del mistero». È la persona, la personalità, lo psichico che cambiano. Jung, dopo un lungo e intrigante percorso, conclude che «lo psicologo moderno si rende conto di non poter produrre che la descrizione, formulata in simboli scientifici, di un processo psichico la cui vera natura trascende la coscienza altrettanto quanto il segreto della vita o quello della materia. Egli non ha in alcun modo spiegato il mistero, né quindi lo ha fatto appassire. Lo ha soltanto avvicinato un po' di più». Ovvero invita a non censurare il sacro, dice di non demonizzarlo perché sarebbe un errore fatale dagli imprevedibili sviluppi individuali e sociali.

Fede e senso religioso sono costitutivi della persona. Jung concludeva la nota accennata all'inizio con queste parole rivelatrici di un dramma in corso: «Non posso più dire: "Questo è il corpo di Cristo" e intenderlo così. Non posso. Per me non è più vero: non esprime la mia condizione psicologica. Ma extra ecclesiam, nulla salus. Allora le cose diventano veramente terribili, perché non si ha più alcuna protezione, non si è più nel consensus gentium, non si è più nel grembo della madre misericordiosa. Si è soli, a faccia a faccia con i demoni dell'inferno».

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