Ballarò e DiMartedì, zapping nella psicologia dei conduttori

Ci siamo cascati: abbiamo cercato di seguire contemporaneamente sia Ballarò che DiMartedì. Scoprendo quel che già sapevamo e cioè che si tratta di due oggetti indistinguibili per struttura e contenuti. Sicché ci siamo ritrovati, senza volerlo, a scrutare la personalità dei conduttori, unico effettivo filo di distinzione fra il programma di La7 e quello di Raitre.

Qual è allora, alla fine di due ore e mezza di zapping, la fondamentale differenza fra Giannini e Floris, al di là del dato di ascolto (6,76% per il primo e 3,86% per il secondo, dove pesa sia il diverso peso della pubblicità sia il fattore Renzi ieri sera su Raitre?

Giannini mostra innanzitutto se stesso, con le sue fermissime opinioni sul mondo e dintorni. E ti dà l’idea di uno che quando gli si confondono le idee sulle cose sia propenso a incolpare le seconde (qualche sera fa, da Fazio, ha enunciato la sopravvenuta «crisi del discorso pubblico» (ci è parso di capire causata dalla frantumazione degli schemi e dei soggetti che l’hanno fino a ieri popolato, come se il cardinal Bellarmino avesse denominato «crisi dell’Universo» la difficoltà di continuare a raccontarlo secondo lo schema geocentrico).

Floris per contro, un po’, forse, per attitudine, e molto probabilmente per l’acquisito mestiere, appare al servizio del format e dei materiali (servizi, tabelle etc). Però, alla fine della fiera, la trasmissione di Floris è più “di Floris” di quanto quella di Giannini sia “di” Giannini. Così sarà, pensiamo, finché “l’ex vice direttore de La Repubblica” non riuscirà a vivere la trasmissione come  un luogo di ricerca, dove si pongono domande per ascoltare le risposte, e non la sede di una liturgia dove un signor X (il conduttore) che mostra di sapere già tutte le risposte pone domande della cui scontatezza è il primo a essere convinto.

Floris invece (e vedremo quanto conterà per l’auditel) ci sembra arrivato alla persuasione che il campo stesso dell’indagare debba cambiare passando dalle figure pubbliche (i leader) alle pratiche e condizioni private (la macchina Italia e i suoi difetti intrinseci, a prescindere da chi ha le mani sul volante, secondo la perfetta metafora di Piero Angela, chiamato non a caso a reimpostare la rotta di navigazione del post Ballarò).

Quelli del Ballarò-Raitre faranno bene a tenere d’occhio l’evoluzione post-politicista del loro dirimpettaio, tanto più che è su quella strada che si può sperare di superare la cosiddetta crisi del talk show politico. Forse.


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