Aspetti psicologici degli sport estremi

L’abbiamo visto tutti, molti di noi in diretta: un uomo, con addosso una tuta “spaziale”, seduto dentro una capsula ai confini del mondo (precisamente nella stratosfera, a 39 km d’altezza), si butta giù, supera il muro del suono (raggiungendo una velocità di picco pari a 1342 km/h) e alla fine atterra al suolo come se fosse il più classico dei lanci con il paracadute… Quest’uomo è Felix Baumgartner, ed è il primo uomo della storia a lanciarsi da così in alto, superando anche il muro del suono in caduta libera.

E’ difficile definire quest’impresa uno sport estremo, di fatto ci troviamo di fronte ad un pericoloso esperimento scientifico, ma forse è proprio questa una delle caratteristiche di base della psicologia dell’atleta “estremo” (per convenzione li chiameremo AE): la ricerca di qualcosa che ancora non si conosce e che per questo porta con sè dei rischi (sia reali che ipotizzati). Baumgartner ce l’ha fatta e resterà nella cronistoria dell’esistenza umana per sempre, amato ed acclamato dai suoi fan. Solo lui sa cosa può aver vissuto realmente in quei minuti, le forti emozioni provate… non dimentichiamoci che ci sono stati dei momenti di grande preoccupazione quando il base jumper più famoso del mondo ha iniziato ad avvitarsi in maniera scomposta, quasi come se fosse un corpo morto, fino a quando non ha ritrovato l’assetto corretto… ma del resto chi può sapere cosa accade ad un essere vivente, protetto sì da una tuta “spaziale”, ma a velocità mach? (in questi casi l’aria diventa iper-resistente, come un muro che preme contro ogni singolo muscolo).

In queste poche considerazioni emerse qui sopra, sono già stati introdotti parte degli elementi chiave del profilo dell’atleta estremo: egli è molto spesso un pioniere, sia di aspetti fisici (nell’accezione scientifica) che di aspetti… altrettanto fisici (nell’accezione organica).

 

L’AE ricerca l’ignoto, in parte per quell’innata curiosità che è insista nella nostra specie, in parte perchè sente la necessità di controllarlo (una caratteristica tipica degli sportivi estremi è l’elevata percezione di fiducia delle proprie possibilità d’azione, sia di poter controllare le situazioni esterne sia di gestire anche se stessi). Un’ipotesi non confermata afferma che in realtà gli AE abbiano un sistema di valutazione dei rischi troppo ottimista o addirittura non adeguato.

L’atleta è anche un ricercatore di sensazioni: egli vuole “sentire” il suo corpo e lo fa con l’utilizzo di attivanti esterni (Secondo Zuckerman, esiste un tratto di personalità, denominato “sensation seeking”, dove ad alti livelli di punteggio corrisponde un’elevata necessità dell’individuo di vivere situazioni emotivamente molto coinvolgenti allo scopo di ottenere una gratificazione accettabile).

La ricerca di situazioni limite scatena in noi sensazioni ed emozioni forti: da un punto di vista biologico avvengono delle secrezioni endogene massicce di ormoni/neurotrasmettitori tipiche delle situazioni ansiogene fra cui: adrenalina, noradrenalina, ACTH, cortisolo, ormone GH somatotropo, prolattina e tendenzialmente flussi di dopamina. Quest’ultima, soprattutto, ha forti legami con quello che effettivamente vive l’atleta da un punto di vista emotivo. Di norma quanta più dopamina viene prodotta e immessa nel corpo, tanto maggiore sarà la sensazione di euforia e di piacere vissuti dalla persona. L’ipotesi è che gli AE:

1) – interpretino le ansiogene e stressanti esperienze estreme come piacevoli sfide in cui sentirsi vivi.

2) – abbiano un difetto nei recettori della dopamina e perciò abbiano la necessità di produrla/assumerla in elevate dosi.

3) – abbiamo volutamente o inavvertimente avviato nel tempo un processo di desensibilizzazione delle emozioni e pertanto siano “costretti” a ricercarne di nuove e sempre più intense.

Al di là di questi aspetti biologici, non vanno però dimenticati ulteriori elementi più propriamente psicologici: l’AE si produce in qualcosa di speciale, qualcosa che l’uomo medio non sa fare, o non ha il coraggio di fare, pertanto l’AE è sì un pioniere, ma da un punto di vista sociale è anche l’attore protagonista di quel palcoscenico: negli sport estremi il solo fatto di svolgere un’attività per “pochi” fa spesso passare in secondo piano la prestazione vera e propria! L’eccezionalità di ciò che vediamo è già di per sè una dimostrazione di valore. In ogni caso, dietro ad esso, c’è sempre un processo di apprendimento e preparazione continua e maniacale, che alla fine conduce l’atleta a compiere gestualità che appaiono “normali” ai suoi occhi, seppur riconosciute come potenzialmente pericolose.

In effetti in molti casi l’approvazione sociale non è apertamente ricercata dagli AE, che sono invece effettivamente concentrati su loro stessi e sul superamento dei loro obiettivi personali, quasi sempre autoimposti. E’ forse questo aspetto “egoistico” (in senso buono) a renderli “interessanti” agli occhi altrui.

Del resto come si fa a non ammirare uno (pazzo, ma preparato) come Baumgartner?

Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport

 

Per domande o dubbi: mauro.lucchetta@psicologiafly.com oppure visitate il sito: www.psicologiafly.com

 

 

 

 
ARTICOLI PRECEDENTI

14 ottobre – Quando lo sport è pericoloso… figli e genitori a confronto

7 ottobre – Gli sportivi e l’immagine di sè

30 settembre – Maledetto infortunio, la psicologia dell’atleta in stand-by

12 settembre – Paralimpiadi finite? Facciamole continuare

6 settembre – Speciale Paralimpiadi: il villaggio olimpico e i problemi sulla lunghezza

23 agosto – Atleti in vacanza

13 agosto – Speciale Olimpiadi: Italia tra sofferenza e divertimento

6 agosto – Le prestazioni emotive

30 luglio – Come formulare correttamente un obiettivo

16 luglio – Risultato immediato vs risultato costruito

9 luglio – L’Italia ha vinto gli Europei: un modello da replicare

2 luglio – I sintomi del drop out e del bur out

25 giugno – Quando lo sport chiede troppo: il burn out

18 giugno – Sport e abbandono giovanile: cosa fare con il drop out?

13 giugno – I segreti di Milan Lab anche per Asd e atleti amatoriali: i benefici di neuro e bio Feedback

6 giugno – Perchè i bulli sono bravi negli sport?

28 maggio – Forse non tutti sanno che… non tutti sono davvero psicologi dello sport

21 maggio – come si fa a gestire l’ansia sportiva – Parte 3^

14 maggio -Come si fa a gestire l’ansia sportiva – Parte 2^

7 maggio – Come si fa a gestire l’ansia sportiva – Parte 1^

30 aprile -Quando un figlio è scarso nello sport

22 aprile – Riconoscere le proprie capacità – Come acquisire la testa del campione

16 aprile – Proiettarsi nel futuro. Come acquisire la testa del campione

9 aprile – Il fattore sfiga. Come acquisire la testa del campione

1 aprile – Come acquisire la testa del campione? Il pensiero controllato

25 marzo – Come funziona la testa del campione?

18 marzo – La definizione degli obiettivi sportivi

11 marzo – Prima di visualizzare: osservare!

5 marzo – Il dialogo interiore

27 febbraio – Introduzione alla psicologia dello sport


download as a pdf file Scarica questa pagina in formato PDF

  • Facebook
  • Twitter
  • email
  • Google Bookmarks
  • del.icio.us
  • FriendFeed
  • Google Buzz
  • LinkedIn
  • Reddit
  • Segnalo
  • Tumblr
  • Wikio IT

Open bundled references in tabs:

Leave a Reply