Vi aiutiamo a superare i tanti lutti della vita

Lei è tanatologo: cosa vuol dire?

Mi occupo da tanto tempo di psicologia della morte, di assistenza ai malati terminali e assistenza al lutto.

Quando si parla di lutto si pensa alla morte di una persona cara...

Ma non è solo quello. I lutti che dobbiamo affrontare nella vita sono di vari tipi. Quello della morte è uno dei più gravi ma poi ci sono quelli della separazione, i lutti per tutti i cambiamenti critici della vita, per tutte le perdite, per le assenze, per i traumi.

Anche quello della perdita del lavoro?

Esatto. Noi abbiamo proprio un servizio per l’assistenza gratuita alle persone che hanno perso l’occupazione.

In questo periodo sono aumentate molto?

Non tantissimo, devo dire. Perché nella nostra cultura c’è l’idea che l’unica cosa che si può fare quando si perde il lavoro è avere qualcuno che ti sostiene o che ti dà un altro lavoro. È vero, ma ci sono moltissime persone che magari ci mettono un anno a trovare un nuovo lavoro e intanto si distruggono.

E cosa si può fare?

Non badare solo a recuperare il lavoro. ma aiutarli anche ad affrontare le crisi connesse a questo periodo: molti perdono l’autostima, si vergognano di aver perso il lavoro, si mettono a bere, litigano con i familiari, pensano al suicidio...

Quindi la vostra associazione, Rivivere, cosa fa esattamente?

Siamo attivi dal 1997 e diamo aiuto psicosociale gratuito. Abbiamo quattro servizi: per il lutto normale, per quello traumatico, per la perdita del lavoro e per il lutto vissuto dai bambini.

Qual è la differenza tra lutto normale e traumatico?

Quello traumatico è dovuto a un fatto violento: un incidente, un omicidio... Mentre quello normale, per esempio, a una morte per malattia.

Ma, in pratica, come aiutate i vostri assistiti?

Ci sono varie modalità di elaborazione del lutto. Noi cerchiamo di capire qual è quella che va bene per la persona che ci chiede aiuto. E le offriamo 7 incontri per affrontare insieme la crisi.

Bastano?

Nel 98% dei casi sì. La maggior parte della gente ha bisogno di aiuto per le piccole cose: non riesce a piangere, non ha nessuno che l’ascolti, non ha ancora preso atto della situazione, si sente in colpa...

Elaborare i lutti vuol dire in fondo accettarli?

No, no. Può voler dire tre cose (o un misto di queste tre): o sostituire la persona persa con un’altra; o farla rivivere dentro di sé oppure sostituirsi a chi non c’è più vivendo per chi non c’è più.

E ognuno di noi ha una naturale inclinazione ad avere una di queste tre reazioni?

Sì, a seconda del tipo di impostazione personale o di sviluppo si può appartenere a una categoria o all’altra. Per cui ci si lega alle persone in un certo modo e, quando poi ci si deve “slegare”, lo si fa in un certo modo.

Voi aiutate a trovare la strada, insomma.

Sì. Oppure aiutiamo chi è già sulla buona strada a rimuovere gli eventuali ostacoli.

Quante persone seguite?

Ma a cosa le serve saperlo? E se anche seguissimo solo una persona il nostro lavoro non varrebbe nulla?

Certo che no. È solo per avere un’idea...

Va bene, va bene. Noi, come progetto Rivivere, seguiamo 400-500 famiglie all’anno. E poi la nostra associazione ha anche una vocazione culturale. È inevitabile, perché senza un cambiamento in questo senso il nostro lavoro è difficile: in tanti pensano che nessuno li possa aiutare durante i lutti e invece non è vero.

È per questo che a Bologna avete aperto la prima libreria dedicata all’elaborazione del lutto?

Sì, in via Torleone 5. È una libreria specializzata ma anche un centro di documentazione, uno sportello di ascolto per i passanti e un centro culturale per organizzare laboratori per grandi e piccoli.

Qual è l’“errore” culturale più frequente che rende complicato il percorso dopo un lutto?

Il fatto che la nostra cultura, non avendo più rimedi nei confronti della morte (basti pensare alla crisi della fede nell’aldilà), ci suggerisce di non pensarci. Noi facciamo come se non dovessimo morire mai, no? Quindi poi quando dobbiamo affrontare la morte non abbiamo più difese e ci troviamo in una situazione di conflitto. Dovremmo parlare di più di morte, di vulnerabilità... ma andremmo contro la nostra società che è una giungla in cui bisogna essere tutti cazzuti e competitivi. Rimuovere l’idea della morte però è sintomo della povertà di una civiltà.

Angela Geraci

angela.geraci@rcs.it

Leave a Reply