Un ricordo di James Hillman: esploratore dell’anima


Un ricordo di James Hillman: esploratore dell’anima

Le vestali non potevano conservare l´acqua ma dovevano andarne a prendere ogni giorno soltanto quella necessaria, in uno strano recipiente fatto appositamente per quello scopo. Il vaso aveva una base così stretta che non poteva stare dritto [non era possibile l´immagazzinamento; non si poteva usare acqua vecchia; la strettezza della base = la stretta disciplina del contenitore] e [questo conteni-tore] era chiamato futile”

James Hillman

“Quando qualcuno dice:
questo lo so fare anch’io,
vuol dire
che lo sa rifare
altrimenti
lo avrebbe già fatto prima”

Bruno Munari

 

Allievo di Carl Gustav Jung e a lungo direttore dell’istituto di Zurigo intitolato al grande psicoanalista, dalla pubblicazione di “Il codice dell’anima” (1996) è partito il successo di massa. Invece, per gli specialisti, il suo libro migliore è ReVisione della psicologia, dove ha destrutturato il pensiero junghiano, apportando quelle novità che hanno affascinato il mondo intellettuale, con una  revisione della personalità , in una cornice politeistica. Secondo questa teorizzazione, l’anima non incontra mai il male né tantomeno il peccato, ma solo malattie che gridato l’assenza degli Dèi, i quali coincidono poi con le “passioni” dell’anima.  E nel suo pensiero la psicoterapia assume solo il compito di aiutare l’anima a recuperare i suoi miti, ed in questo, e solo in questo, trovare la sua guarigione e la sua salvezza. In Hillman è assente qualsiasi afflato religioso, anche di stampo platonico e neoplatonico, verso una trascendenza come “salvezza” dell’anima; così come sono assenti i dubbi e anche le contraddizioni che ancora caratterizzano il pensiero di Schelling, sempre in tensione non risolta tra l’indistinta unità romantica di Dio e mondo, l’intuizione dell’Infinito, il dramma della “storicità” di Dio, e l’esigenza di salvaguardare in qualche modo le verità e il primato della Rivelazione. Nonostante il fascino della sua scrittura, Hillman  va considerato, in una prospettiva filosofico-religiosa,  come uno dei più radicali negatori di ogni forma di religiosità storica, e comunque appartenente alla tradizione ebraico-cristiana. James Hillman, è morto il 29 ottobre scorso, a 85 anni, rimpianto dalla comunità psicanalitica e da milioni di lettori in tutto il mondo. Nato ad Atlantic City nel 1926, egli rappresenta un autentico “caso culturale”, sia per la vasta diffusione dei suoi numerosi scritti sull’ ”anima”, sia per il crescente interesse che essi suscitano presso gli intellettuali e non solo in Italia.. Psicoanalista junghiano, filosofo dalle molteplici ascendenze culturali,  Hillman si qualifica subito come un “antiilluminista” che enfatizza il fallimento della razionalizzazione occidentale nei confronti della comprensione dell’anima, e che  ritiene che lo spirito di ragione, dominante negli ultimi secoli, invece di “coltivare l’anima”, l’ abbia semplicemente soffocata  con il volerla controllare esaustivamente in modo razionalistico.  Definito per questo  “un artista dell’anima”, Hillman in realtà viene considerato, dopo Jung,  il vero padre della “psicologia archetipica”. Dopo aver studiato  alla Sorbona, al Trinity College di Dublino e all’Università di Zurigo, è stato primo Direttore dell’Istituto Jung di Zurigo, e  docente alla Eranos Foundation di Ascona dal 1966 al 1983. Alla fine degli anni 70 lascia Zurigo per tornare in America, dove insegna presso le università di Yale, alla Syracuse University, alla University of Chicago ed alla University of Dallas , dove è stato uno dei fondatori del Dallas Institute for Humanities and Culture,  e dove  dirige dal 1970 la rivista “Spring”, pubblicando una serie pressoché ininterrotta di volumi, che ottengono numerose riedizioni e traduzioni. Conferenziere noto a livello internazionale, membro dell’associazione internazionale di psicologia analitica, Hillman è stato inserito dalla Utne Readers tra le prima 100 personalità “che sono in grado di cambiare la vita del loro pubblico”. In Italia, dove  gli è stata conferita la Medaglia del Comune di Firenze e la cittadinanza onoraria di Chiavari, due anni fa, ha attirato l’interesse del mondo culturale solo dopo la pubblicazione, da parte dell’editrice Adelphi, nel 1977, del Saggio su Pan, interesse che è andato crescendo fino all’ultima opera Il piacere di pensare, cha ha la forma di un dialogo con Silvia Ronchey. La possibilità di affrontare in modo adeguato la questione dell’anima  può allora realizzarsi per Hillman solo se, superando gli angusti confini metodologici in cui secondo lui si sono rinchiuse, sia la psicoanalisi che la filosofia ricorrono alla mitologia, sull’esempio di Jung. E questo è possibile  solo  acquisendo la scoperta principale di Jung: quella degli “archetipi”. Se Freud aveva scoperto nella psiche la dimensione dell’Inconscio, Jung scopre che la psiche non è mai solo una “tabula rasa”, ma è sostenuta da un Inconscio collettivo, e vive di archetipi e di simboli. “Gli archetipi sono le costellazioni dell’inconscio collettivo, raggianti, attive, cariche di energia….Un archetipo è, perciò, un’emozione condensata, che vive nell’inconscio collettivo, come una costellazione raggruppa le stelle nel suo cielo. Un archetipo spinge gli uomini verso pensieri, realizzazioni, pregiudizi, movimenti di massa. Un archetipo è come un vento invisibile che soffia su una flotta di velieri…L’inconscio collettivo è ‘cosmico’, perché ingloba l’esperienza eterna dell’uomo; e anche gli archetipi lo sono…perché derivano da esso….Gli archetipi determinano le azioni umane, il progresso dei popoli, i lavori dei grandi artisti, i fondamenti delle religioni, il sacro, le leggende eterne, l’amore e la vita di tutti i giorni. Incontrare gli archetipi nell’anima significa anche, per Hillman, interpretare i “miti” nei quali,come ha insegnato Jung,  si esprime con linguaggio simbolico la complessità dell’Inconscio collettivo. Il movimento fondato da Hillman, la psicologia archetipa, le cui fonti, a parte Jung, sono soprattutto da ricercare in Plotino, Vico e nella riproposizione della filosofia islamica operata da Corbin, ottenne fin da quasi subito un successo enorme, innovando profondamente la tradizione junghiana, tanto da fare di lui una sorta di “guru dell’anima”. Nel 1978 trasportò la sua cultura Mitteleuropea, il suo culto degli dei e della tradizione greca (riletta con gli occhi del filosofo Plotino) nella texana Dallas, avanguardia della più sintomatica modernità. Nel 1992 l’Università di Notre Dame, in Indiana, gli dedicò un Festival of Archetypal Psychology, che durò 6 giorni, con 500 partecipanti. Successivamente ha insegnato nelle Università di Yale, Syracuse, Chicago e Dallas, e, seguendo il filo delle proprie riflessioni, si è dedicato anche ad una intensa attività di animazione culturale, rivolta ai più vari aggregati sociali: architetti, educatori, operatori sociali, artisti. ”Sto morendo, ma non potrei essere più impegnato a vivere”. Così aveva scritto, nella sua ultima mail, ridotto uno scheletro dalla devastante malattia, ma vitale, fino all’ultimo respiro. Restare pensante era la sua scommessa, la sua sfida. Per questo aveva ridotto al minimo la morfina, a prezzo di un’atroce sofferenza sopportata con quella che gli antichi stoici chiamavano apatheia: un apparente distacco dalla paura e dal dolore che traduceva in realtà un calarsi più profondo in quelle emozioni. L’unica cosa che contava era analizzare istante dopo istante se stesso e quindi la morte come atto oltre che nella sua essenza. Se Steve Jobs, morendo, ha lasciato detto “stay hungry, stay foolish”, l’ultimo insegnamento di James Hillman può riassumersi così: “Resta pensante” fino all’ultima soglia del tuo essere. Un grande insegnamento davvero. Il prossimo 10 dicembre un gruppo di intellettuali e studiosi italiani, coordinati da Luigi Turinese e Riccardo Mondo, curatori per Bollati Boringhieri del bel volume (del 2005) “Caro Hillman.. Venticinque scambi epistolari con James Hillman”, uno scambio epistolare in cui, apparentemente, il dissenso prevale sulla ammirazione, come nel caso  di Mario Trevi, firmata con Marco Innamorati (insieme hanno scritto Riprendere Jung), che è una presa di distanza, sofisticata ma dura già nel titolo, “Contra psychologiam archetypalem”, una messa sotto accusa delle tesi più ardite di Hillman: dalla lettura che fa dei classici alla pretesa di parlare ancora di un’ontologia dell’anima, al rifiuto drastico di ogni modello medico. Ma, anche in questo caso, la grandezza di Hillman traspare, in modo inequivocabile. Ciò che fa grande, indimenticabile Hillman, è di aver rimproverato alla filosofia di aver semplicemente abbandonato la riflessione  sull’ anima, per lasciarla o alla religione (o alle religioni) o per rinchiuderla, come in alcune correnti del cognitivismo contemporaneo, unicamente nella questione del rapporto mente-corpo. E’ a Cartesio ed al suo dualismo di res cogitans e res extensa che Hillman ha imputato la maggiore responsabilità  di tutto il soggettivismo moderno, il quale ha bandito l’anima da una approfondita riflessione filosofica,  escludendo il “cogito” dal rapporto con la realtà, con gli altri,  con il mondo, e con il mondo degli Dèi- sebbene poi Hillman includa surrettiziamente in questa accusa anche una erronea interpretazione del messaggio evangelico, colpevole, a suo avviso, della “devastante divisione cosmologica cristiana che assegnò a Cesare il mondo e a Cristo l’anima”, sicché, secondo il suo pensiero, il cristianesimo va inteso solo come “fuga dal mondo” e non anche, ed ancor più, come “animazione” del mondo. Ed è stato proprio l’abbandono epistemico dello studio dell’anima a generare i mali del mondo moderno: l’economicismo senz’anima, la devastazione ambientale, il gigantismo e la bruttezza delle nostre città, l’”ottundimento psichico” del conformismo televisivo e l’”anestesia mentale” prodotta su vasta scala da una cultura prevalentemente scientista e tecnologica. Occorre allora, ripensando all’insegnamento del grande americano, , “ripensare l’anima” ricollegandola- e con essa tutto l’uomo- a quell’universo di simboli, miti, emozioni, forme artistiche, icone del sacro, con le quali l’uomo continuamente ha a che fare, e con cui deve anche lottare, nella sua vita reale. Ripensare l’anima riscoprendo autori antichi, Plotino e Vico, ma, soprattutto il nostro Marsilio Ficino, da lui giudicato “il più grande psicologo del mondo”, secondo cui l’anima è composta platonicamente da tre facoltà: la mente o intelletto; l’immaginazione o fantasia (idolum) e l’istinto corporeo ed è alla base anche della psicologia archetipica perché, secondo Hillman, “attraverso la fantasia l’anima può portare il corpo, l’istinto e la natura al servizio di un destino individuale”, recuperando così l’unità dell’anima con il corpo, la natura, gli archetipi sacri, e svelando il nostro destino: “il nostro destino si rivela nella fantasia…e nelle immagini della nostra psiche troviamo il nostro mito”.

 

Letture consigliate

-          Avens R.: L’ immaginazione e la realtà, Ed. Comunità, Milano, 1985.

-          Beer M.: Intervista su amore, anima e psiche, Ed. Laterza, Roma, 1983.

-          Daco P.: Che cos’è la psicanalisi.La scienza che ha rivelato l’uomo a se stesso, Ed. Rizzoli, Milano, 1992.

-          Giacobbe P.: Psicopatologia come mito : introduzione a James Hillman, Ed. Giuffrè, Milano, 1986

-          Hillman J., Ventura M.: Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, Ed. Garzanti, Milano, 1993.

-          Hillman J.: Le storie che curano. Freud, Jung, Adler, Ed. Raffaello Cortina, Milano, 1984.

-          Hillman J., Boer C.: La cucina del dott. Freud, Ed. Raffaello Cortina, Milano, 1986.

-          Hillman J.: Fuochi Blu, Ed. Adelphi, Milano, 1996.

-          Hillman J.: Puer aeternus, Ed. Adelphi, Milano, 1999.

-          Sutherland J.D.: Psicoanalisi e Pensiero Contemporaneo, Ed. Armando, Milano, 1971.

Carlo Di Stanislao

 

 

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