Ci sono verità inabissate nella mente dei bambini che hanno subito abusi sessuali. O che sostengono di aver patito quello sfregio. L’unica maniera per farle affiorare è saper porre loro le domande nel modo giusto. Sono partiti da qui due professori esperti di psicologia e di criminologia, l’italiano Angelo Zappalà e il finlandese Pekka Santtila, per ideare (con tanto di brevetto) il primo e unico al mondo “simulatore di intervista a minori presunti abusati”. A luglio verrà presentato a Maastricht, nell’ambito della più significativa conferenza internazionale dedicata alle interviste investigative.
Lo hanno chiamato EIT (Empowering Interviewer Training), è un “serious game”, un gioco virtuale con finalità serie: in questo caso la formazione di coloro che si troveranno poi a dover condurre nella realtà un colloquio investigativo con un bambino. Gli allievi si pongono davanti allo schermo di un pc e “intervistano” bambini virtuali, degli avatar, programmati per rispondere vocalmente. Otto avatar, metà maschi e metà femmine, in età compresa tra i 4 e i 6 anni, le cui risposte riproducono quelle ottenute da bambini veri negli interrogatori. Qualche avatar è più emotivo e piange, altri lo sono meno. Ognuno ha una storia diversa: devianze, maltrattamenti, abusi. Ma non tutti sono stati violentati: l’intervistatore, attraverso il colloquio, dovrà approdare alla verità. Psicologia e tecnologia, insieme.
Come è nata l’idea lo spiega il criminologo torinese Angelo Zappala, 48 anni, giudice onorario per il Tribunale dei minorenni e direttore scientifico del Crimelab, un laboratorio di formazione e ricerca della SSF Rebaudengo, l’Università Salesiana di Torino che investito nel progetto. «In casi di abuso – avverte Zappalà -, se non c’è la confessione, o le riprese di una videocamera oppure le tracce di dna sulla vittima, i processi si basano su ciò che affermano i bambini. Ecco perché un colloquio con il minore condotto in modo appropriato diventa fondamentale». «Ora – prosegue il professore – mentre per fare esperienza nel trattare, per esempio, con pazienti depressi possiamo chiedere a qualcuno di simulare quello stato, non possiamo domandare a un bambino di quatto anni di fingere di essere stato violentato. Da qui l’idea di costruire bambini virtuali: così facciamo esercizio in ambiente protetto secondo l’approccio dell’ “imparare facendo”, perché queste situazioni non si possono certo imparare dai libri».
Tutti i “faccia a faccia” vengono video-registrati. Dietro a uno specchio unidirezionale, gli altri partecipanti osservano il colloquio. Al termine, docenti e allievi guardano il video e commentano le performance. «Soprattutto, mostriamo dove hanno sbagliato», chiarisce Zappalà. Sì, perché le domande devono essere chiare, brevi, non influenzate dalla mimica facciale, aperte («Se a un minore – osserva Zappalà - poniamo un interrogativo con tre alternative risponderà affermativamente all’ultima»,), non introspettive (Non ha senso chiedere: «Hai sofferto?») e non suggestive (ossia non devono suggerire la risposta: «Ti ha mica toccato?»). Le numerose risposte degli avatar si attivano, attraverso una specie di “cabina di regia”, proprio in base a regole di questo tipo. «Porre degli interrogativi – spiega ancora il criminologo – è un po’ come fare un sopralluogo nella mente del minore. Vanno posti nel modo giusto per evitare di “contaminare” la scena dell’eventuale delitto». Altrimenti si rischiano cantonate. Come ricorda il criminologo: «Uno dei nostri allievi è arrivato alla conclusione che il suo avatar fosse stato abusato da ben 20 uomini». Meglio allenarsi con l’EIT.