Così, per oltrepassare il muro dell’ignoranza, ho verificato la preparazione delle tre signore che ogni martedì sera sono protagoniste su La7 di “Sos Tata”.
Tata Adriana, per esempio, ha 45 anni, è laureata in Psicologia cognitiva per l’apprendimento linguistico all’università della California, ha frequentato corsi di specializzazione in Psicologia dello sviluppo infantile e scienze cognitive, ed è stata coordinatrice negli Stati Uniti delle attività di Psicomotricità di bambini e adolescenti con gravi handicap mentali e fisici alla Los Ninos school di San Diego.
Tata May, invece, ha 35 anni, è nata in Nigeria, e oltre a essere poliglotta ha studiato da educatrice negli Usa al Monroe community college, maturando in seguito quindici anni di esperienza a contatto con le famiglie.
Quanto a Tata Lucia, la cosiddetta capa, è esperta di Attention deficit hyperactivity disorder, collabora con svariati ospedali, tiene corsi di Terapia comportamentale per genitori e insegnanti, ed è ricercatrice presso il Child development center presso l’università della California.
Dopodiché, per una volta, è abbastanza inutile scrivere una recensione di “Sos Tata”, e raccontare nel dettaglio il viaggio di queste professioniste all’interno delle famiglie italiane, perché tutto ciò che si deve sapere è contenuto in un’unica parola: curriculum.
Quando, in sostanza, ci si affida a professionisti seri, e si consente alla televisione di abbinare il gusto dell’home reality alla profondità della psicologia, allora il risultato è garantito: aldilà degli ascolti più o meno appaganti.
Sarebbe un miserevole errore, infatti, considerare “Sos Tata” giusto un programma di interazione con bambini e genitori della nostra penisola.
Siamo invece alle prese con un esperimento più composito, dove l’intera scena sociale viene fotografata tramite l’obiettivo del microcosmo domestico, impregnato di (mal)umori e (in)sofferenze che oltrepassano l’interesse privato e tracimano nel comune senso del disagio.
Per questo sono essenziali, nella gestione dell’impianto narrativo, le spalle larghe di Tata Lucia and company. Perché dietro all’incapacità di elaborare una serena vita familiare, c’è -esibito senza neanche troppa reticenza da padri e madri- il danno complessivo di un Paese che per troppo tempo ha relegato il capitolo casalingo all’ultimo posto della scala cerebrale.
Tutto è sembrato, per anni e anni, più importante e appagante di ciò che capitava all’interno dei nuclei domestici. Ed è piaciuto a molti, questo abbaglio autolesionista; almeno finché la crisi non ha polverizzato i sogni di (vana)gloria che qualche buontempone della politica aveva disegnato nell’aria.
Poi, poi è rimasto quello che ci mostra “Sos tata”. Un cimitero di uomini e donne che s’interrogano su se stessi tramite i problemi dei loro figli.
Una catastrofe generazionale che non si limita agli attuali trenta e quarantenni, ma è pronta a regalarci un parterre di poveri vecchi che hanno snobbato la prima regola umana: accorgersi che non si è nulla, se non di dà nulla agli altri.
La ferita più sanguinante con cui le tate devono confrontarsi.
Tag:Sos Tata, tata Adriana, Tata Lucia, Tata May
Scritto domenica, 13 maggio, 2012 alle 07:30 nella categoria Senza categoria.
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