Tra MMO e Psicologia

Tra MMO e Psicologia


Tra MMO e Psicologia

La Dr.ssa Rachel Kowert tempo fa aveva pubblicato i risultati di un’indagine compiuta su un campione di 4500 gamers caucasici che si identificavano come timidi. I campioni erano stati ottenuti attraverso sondaggi anonimi, pubblicizzati a pagamento su siti come Facebook e altri. Se avete letto il nostro precedente articolo vi ricorderete che era stato confutato lo stereotipo che i giocatori online dovessero diventare o essere dei disadattati sociali oppure timidi. Al contrario, dalle conclusioni tratte, sembrava addirittura che l’essere parte di una community potesse avere delle qualità terapeutiche.

Approfondendo le sue ricerche è parso che i peggiori stereotipi ricadessero sulla categoria dei giocatori di MMO, i quali sembra passino più tempo davanti ad un monitor rispetto ai giocatori offline. Il parametro timidezza non ha invece nulla a che vedere con questo fattore, essere timidi non implica il passare più ore davanti ai nostri amati videogiochi. Mettendo a confronto il gruppo di giocatori offline con quello online non è però importante  focalizzarsi sul “quanto” si gioca, ma piuttosto sul “come”. Specialmente quando i giocatori timidi ammetto di avere delle cerchie di amici molto più ampie sul web rispetto che nella vita reale. E’ proprio l’opportunità di poter giocare in cooperativa e poter comunicare la qualità terapeutica dei videogame. Gli MMO infatti creano una percezione di spazio sicuro, all’interno del quale è possibile comunicare tramite chat scritta oppure vocale. Questi strumenti offrono all’utente la possibilità di avere più tempo per riflettere prima di esprimersi, nonché danno la possibilità di avere maggior controllo sulla conversazione. Si può avere anche la possibilità di sentirsi parte di un gruppo, di una gilda, portando magari oltre il monitor le stesse amicizie virtuali. Questa è la ragione per cui internet tende ad essere popolare tra le persone più sensibili e timide. L’online può essere un’esperienza positiva, permettendo di relazionarsi più facilmente.

Scientificamente la ricerca si è spostata oltre al “che cosa provocano i videogiochi all’utenza”. Nonostante quello che la maggior parte della gente pensi,  i videogiochi non fanno “nulla” alle persone. Come in molte altre occupazioni però ci possono essere casi di dipendenza o di altre patologie. Ecco perché ora le ricerche si concentrano sul ciò che fanno le persone con questi videogiochi. Se le persone li utilizzano per socializzare, come spesso avviene, bisogna tener conto anche dei lati positivi oltre che dei negativi.

Detto questo io sconsiglio di far approcciare utenti troppo giovani(-12 anni) al mondo online. Nella fase di crescita è bene che i ragazzi possano provare altre attività e stimoli, lo sport che fa tanto bene allo sviluppo psico-fisico per esempio. Questo a mio parere può essere un grosso rischio in cui incorrere, la possibilità che utenti troppo giovani vengano inghiottiti dalla rete per poi essere risputati fuori magari a vent’anni, senza essere più in grado di interagire correttamente con il mondo esterno. Voi cosa ne pensate?


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