Nel precedente articolo ci eravamo lasciati con due domande in sospeso:
- Perché i videogiochi piacciono così tanto?
- Come posso sfruttare le qualità positive dei videogiochi nel mondo dello sport?
Sulla prima domanda diverse teorie hanno provato a dare risposte differenti: secondo la psicologia classica in larga parte ciò è dovuto all’immediata soddisfazione di un bisogno che viene fatto emergere durante il gioco: attraverso un continuo stimolo-risposta immediato, il giocatore è costantemente gratificato in ogni sua azione. Gratifica che prevede anche dei malus in caso di errore, ma che fondamentalmente è strutturata per ottenere un successo (il completamento del gioco è pressochè accessibile a tutti oggigiorno, diversamente da quello che avveniva negli anni 80/90 dove il concetto di sopravvivenza all’interno di livelli infiniti era il trend dominante). Ulteriori modelli, come quello sul senso di presenza, hanno provato a spostare il piano più sull’aspetto esperienziale/sensoriale del videgiocare puntando maggiormente sugli aspetti narrativi (anche impliciti, sul gioco e su di sè) che avvengono durante le sessioni con il joypad. Seconodo differenti studi sono presenti aspetti compulsionali, che vengono incentivati facendo leva su diverse aree psicologiche-motivazionali (identificazione, personalizzazione, socialità, skill test e così via).
Personalmente ritengo che uno dei fattori di successo dei videogame sia quello di “permetterti di fare cose che non potresti mai fare, ma che desidereresti fare”, non tanto per l’idea che io possa commettere crimini virtuali e rimanere impunito (e per molti ragazzini questo risulta essere un attributo molto appetibile), quanto piuttosto sul desiderio/aspirazione che nel profondo è dentro in ognuno di noi, che consiste nel poter vivere delle emozioni facendo quello che sognamo: vorresti guidare una Ferrari? Essere un Mago oppure un Soldato di Guerra? Ti piacerebbe gestire una squadra di calcio o una città?.. Esiste certamente il videogioco per te.
Ed è questa una delle caratteristiche, a mio parere, davvero interessanti nel connubio sport-videogiochi: ritengo che questi ultimi siano dei predittori elettivi per individuare/leggere le predisposizioni di atteggiamento (e volendo anche di capacità/qualità) nei confronti delle diverse discipline sportive. L’idea astratta è tanto semplice quanto efficace: mettiamo a disposizione di un bambino un campionario di videogiochi sportivi, una scelta esaustiva, ed ecco che nel tempo alla fine lui opterà e si affezionerà ad un paio di essi. E’ chiaro che nella realtà di tutti i giorni non possiamo certo riempirci le nostre case di software (anche se poi succede, inutile negarlo), ma già solo con l’avvento dei tablet e del digital download è possibile acquistare qualsiasi videogame a costi ridotti.
Al di là dei dettagli pratici quello che conta è osservare e comprendere a cosa videogiocano i ragazzi di oggi, cosa ritengono essere la realizzazione di un desiderio e cosa un semplice svago. Guardateli e chiedeteglielo. Forse i tempi sono prematuri, ma è nei videogiochi (di oggi e del futuro) che risiedono anche molte delle modalità di funzionamento del pensiero delle generazioni che verranno: non bisogna sottovalutare il fatto che nel mondo stanno crescendo intere flotte di ragazzi che mediamente giocano per diverse ore ogni giorno e questo avviene dall’età infantile fino… a sempre! Giovani che si abituano a determinati meccanismi di funzionamento logico (la logica del gaming) e che ovviamente replicheranno nel reale le modalità apprese. Ne abbiamo già parlato in alcuni articoli precedenti quando osservavamo come il distacco fra cultura societaria e cultura giovanile fosse causato da un gap di… velocità: società statiche in un mondo estremamente rapido!
C’è poi una questione prettamente economica: alcuni sport non sono così accessibili ed anche solo far fare una prova al proprio figlio può comportare un investimento che a volte si vorrebbe evitare. Sapere a priori che l’interesse del ragazzo sulle dinamiche che caratterizzano lo sport sono reali e motivate è sicuramente una garanzia che, seppur minima, è sicuramente più valida rispetto alle mille richieste campate per aria che ci fanno i più piccoli ogni giorno: “Papà, voglio fare il torero!”
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Dott. Mauro Lucchetta – Psicologo dello Sport
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