La parola “lutto” (dal lat. lūctu(m), deriv. del tema di lugēre ‘piangere, essere in lutto’) si riferisce sia al sentimento di profondo e vivo dolore che si prova per la morte di una persona cara o per gravi disgrazie, sia al tempo successivo alla morte vera e propria.
Chiunque abbia mai attraversato un’esperienza così dolorosa come quella del lutto ed è riuscito ad andare avanti, sa che il processo di elaborazione della perdita richiede tempo e fatica, attraversando varie fasi:
– fase della negazione o del rifiuto: un momento in cui alla persona risulta difficile se non addirittura impossibile accettare l’accaduto;
– fase della rabbia: momento molto delicato in cui si susseguono emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, talvolta investendo amici, parenti o anche Dio;
– fase della contrattazione o del patteggiamento: in cui la persona inizia ad essere in grado di fare progetti ed inizia a risorgere la speranza;
– fase della depressione: rappresenta un momento nel quale la persona inizia a prendere consapevolezza della perdita subita ed il livello di sofferenza aumenta;
– fase dell’accettazione: quando la persona ha avuto modo di elaborare quanto accaduto ed arriva ad un’accettazione della condizione che permette di integrare la perdita nella trama della propria vita.
Questa naturalmente la teoria, ma da qui alla pratica molti fattori possono contribuire a trasformare un processo di lutto da “normale” e fisiologico, in lungo e difficile da superare: tra questi, come intuibile, la morte di un figlio, innaturale ed inaccettabile di certo per tempistica, specie se improvvisa e traumatica è di certo in cima alla lista dei fattori che possono rallentare o, addirittura, impedire, il processo di cicatrizzazione.
In casi come quello recente, tristemente noto alle cronache locali e non solo, il lutto che tocca principalmente genitori, parenti e amici più stretti, in realtà scuote profondamente gli animi di un’intera comunità.
A complicare il tutto e ad alimentare fantasmi nell’immaginario collettivo, sono di certo le modalità e gli aspetti della vicenda ancora ignoti ed oscuri (al momento attuale) che stanno comprensibilmente catalizzando l’attenzione dei media nazionali.
Ma al di là dei media “ufficiali”, un certo ruolo è svolto anche dai social network: essi rappresentano di certo il modo migliore e più immediato attraverso cui esternare e condividere, a vari livelli, il proprio sgomento in modo pubblico.
E così, attraverso commenti e considerazioni generali, che passano dalla tastiera alla comunità “reale” delle strade, delle scuole, degli uffici, dei negozi, ecc., ci si sente tutti “comunità”, improvvisamente unita di fronte all’atrocità di una morte così improvvisa.
Lutto cittadino, fiaccolate, momenti di preghiera, social network e persino gruppi virtuali: tutto fa sì che l’elaborazione collettiva del lutto cambi forma e si adegui persino alle nuove forme dei tempi odierni. Ma al di là di modi e strumenti utilizzati, un cosa resta immutata e costante di fronte a vicende così tragiche: il bisogno di sentirsi uniti e di condivisione dei vissuti.
L’umana speranza di chi scrive (ma immagino anche di chi legge) è che una tale amplificazione di quello che è un lutto principalmente personale in un lutto collettivo possa, in qualche modo, rappresentare una preziosa fonte di sostegno emotivo, pratico, relazionale, spirituale per i principali protagonisti investiti da tale vicenda.