Studenti, di età compresa fra 14 e 18 anni. Appassionati di armi e videogiochi. Ascoltano musica metal e vivono ai margini della società. Socialmente isolati, derisi, umiliati, emarginati tra gli emarginati. Dapprima accettano la loro condizione poi, superato l’ultimo confine, riversano proprio nelle mura scolastiche, l’odio nei confronti di coloro che gli hanno reso la vita un tormento. Che siano studenti o insegnanti, maschi o femmine, minori o adulti non importa. L’importante è ucciderli: tutti. Loro sono gli school shooters. Il primo caso avvenne nel 1968 presso il South Carolina ma solo nel 1999 si parlerà di “school shooting” come fenomeno psicologico, a causa del massacro della Columbine High School. Il più recente è avvenuto pochi mesi fa, in una scuola di Barcellona. In tuta mimetica e armato di una balestra fatta in casa e un machete, un ragazzino di appena 13 anni ha ucciso un professore e ferito quattro persone. Alle 9.20, il ragazzino, studente del liceo ‘Juan Fuster‘, ha aggredito la docente di spagnolo dopo un rimprovero avvenuto per un ritardo. Poi ha ferito anche la figlia, sua compagna di classe. Seguono due studenti e infine un professore di scienze che era accorso nella classe dopo le prime urla: è stato centrato al petto dalla balestra.
Secondo l’unità di scienza comportamentale dell’FBI è impossibile tracciare un profilo preciso dei potenziali killer scolastici. Quali sono i campanelli d’allarme che genitori e insegnanti devono riconoscere? Lo abbiamo chiesto alla dott.ssa Antonietta Curci, docente di Psicologia Generale, Metodologia della Ricerca Psicologica e Psicologia della Testimonianza, Coordinatore del Master in Psicologia Giuridica e del Corso di Studi Magistrale in Psicologia Clinica dell’Università degli Studi di Bari.
La letteratura e la pratica professionale individuano dei fattori individuali di rischio collegati alla cattiva gestione dell’aggressività nel contesto familiare e scolastico, ai deficit nel ragionamento morale nella fase adolescenziale, carenza di sentimento empatico, difficoltà affettive e di socializzazione e così via. Accanto a questi aspetti, occorre sempre considerare il ruolo giocato dal contesto di vita sociale e familiare. Ad esempio, un ragazzo che assume comportamenti da “bullo” a scuola o con i pari necessita di un’attenzione psicoeducativa particolare per evitare che le sue condotte producano atti sempre più gravi o pericolosi. D’altra parte, un adolescente che vive una situazione sociale di disagio o marginalità è più esposto al rischio di tradurre la sua rabbia e la sua insoddisfazione in atti aggressivi eterodiretti di gravità preoccupante. Altri fattori di rischio importanti sono l’uso di stupefacenti e le associazioni con pari devianti. Occorre però guardarsi bene dal rischio di un determinismo riduzionistico, per cui la devianza è inevitabile conseguenza di certi tratti temperamentali o di esclusive cause ambientali. I genitori e gli insegnanti devono parlare con i loro ragazzi, guardarli negli occhi, leggere la loro sofferenza anche quando questa si manifesta in un gesto poco educato o persino violento. L’educazione all’emotività rivolta non solo ai ragazzi ma anche a genitori e insegnanti è un punto di svolta cruciale nella prevenzione della violenza nelle comunità scolastiche.
Durante la violenza, sono consapevoli di cosa stanno facendo e delle conseguenze che ci saranno dopo?
In molti casi, invocare forme di amnesia dissociativa è una pratica in uso delle difese piuttosto che un reale stato patologico di autori di crimini violenti. I casi di amnesia dissociativa che riguardano azioni criminali sono rari e vanno inquadrati in un preciso quadro psicopatologico che necessita di approfondimenti clinici e diagnostici ad hoc. I tribunali di avvalgono spesso di esperti psicologi e psichiatri per la valutazione dei quadri clinici rilevanti ai fini dell’imputabilità. In sede di valutazione, gli esperti possono, a seconda del caso che hanno di fronte e in ragione della richiesta del tribunale, approfondire gli aspetti legati ad una possibile sindrome amnesica. Trarre conclusioni generali sul fenomeno è ancora una volta fuorviante.
Il 95% di queste stragi termina con il suicidio del carnefice mentre il restante 5% viene fermato poco dopo l’inizio scongiurando così il suicidio ed altre vittime innocenti. Sentirsi rinnegati dai compagni ha fatto si che essi rinnegassero anche la propria esistenza al punto da scegliere di togliersi la vita?
Assumere che lo school shooting sia la risposta ad un rifiuto sociale è una ipotesi interpretativa che non va generalizzata, in quanto atti di aggressione e violenza verso le istituzioni scolastiche possono anche essere esito di una condotta di un gruppo, i cui componenti sono portati ad agire in ragione delle regole di esistenza del gruppo stesso. Togliersi la vita, infine, può essere la risposta estrema all’anticipazione di una emozione morale insostenibile, come un senso di colpa eccessivo per aver commesso un’azione moralmente riprovevole.