LECCO – In passato la comunicazione è stata vista come il semplice passaggio di informazioni da un emittente a un ricevente. Oggi invece viene considerata un fenomeno complesso, che non si esaurisce nel passaggio di contenuti e non ne prevede una registrazione meccanica, ma mobilita risorse di varia natura. La comunicazione costituisce quindi non soltanto una condivisione, come già rilevabile dall’etimologia della parola (dal latino “comunicare” = “mettere in comunione”), ma implica anche una costruzione attiva della conoscenza mediante inferenza, negoziazione e retroazione. Ma andiamo con ordine.
Nel 1949 Claude Elwood Shannon e Warren Weaver, due matematici statunitensi, formularono la teoria lineare della comunicazione. Il modello da loro apportato era matematico, semplice, basato sul canale: la comunicazione era considerata un mero processo di elaborazione dell’informazione. L’obiettivo dei due autori fu strettamente pratico, cioè quello di migliorare la rete di cavi telefonici; dunque non venne data attenzione al contenuto dell’atto comunicativo, bensì solo alla trasmissione e alla ricezione. Proprio qui stava la debolezza della loro teoria. In questo modello il processo comunicativo prevede due fondamentali passaggi: la codifica e la decodifica. La prima consiste nella traduzione, da parte dell’emittente, dei contenuti che ha in mente in un codice condiviso; la seconda è il processo svolto dal destinatario, di riconversione del messaggio dal codice linguistico utilizzato alle idee, ai contenuti. Un ulteriore fattore che incide sull’efficacia di questo processo è il “rumore”, cioè le possibili interferenze che alterano l’invio e/o la ricezione. La teoria di Shannon e Weaver risulta utile per spiegare la comunicazione tra macchine, ma non basta quando viene applicato agli esseri umani: i codici linguistici infatti presentano intrinsecamente delle ambiguità, delle variabili contestuali e delle fonti di errore di cui un modello matematico non può rendere conto.
Diciotto anni dopo, sempre negli Stati Uniti, un nuovo modo di guardare alla comunicazione rivoluziona il mondo della psicologia. Il contributo arriva dalla prolifica Scuola di Palo Alto, California, un gruppo di studiosi di varie discipline che fanno capo all’antropologo e filosofo Gregory Bateson. Tra loro ci sono Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin e Don D. Jackson, autori del testo “Pragmatica della comunicazione umana”, i quali sviluppano un modello definito “sistemico”. Secondo questo punto di vista, è impossibile isolare il soggetto dal contesto di relazioni in cui è inserito. Ogni comportamento comunicativo, infatti, produce un comportamento sugli interlocutori, il che significa che risulta riduttivo considerare la comunicazione un fenomeno lineare e unidirezionale come veniva fatto in precedenza. Occorre trattarla come un processo circolare, che parte da un soggetto, giunge ad un altro, e torna nuovamente al soggetto di partenza, e così via (è questo il concetto di feedback, retroazione). “Non c’è fine né principio in un cerchio”, per citare i tre autori. All’interno dell’opera sono illustrati cinque assiomi, intesi come “verità auto evidenti”, i presupposti di base della comunicazione.
Il primo di essi sostiene che “non si può non comunicare”: quantunque ci si sforzi di non farlo, anche quando non si utilizzano parole, attraverso il comportamento si inviano comunicazioni agli altri. Ad esempio il fatto stesso di non voler parlare o gesticolare rivela qualcosa di noi, ovvero la volontà di non volersi rivelare. “L’attività, l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri, che, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro”. I canali comunicativi presi in considerazione, come vedremo in seguito, non sono solo quelli verbali.
Il secondo assioma dice che “ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, in modo che il secondo qualifica il primo ed è quindi meta-comunicazione”. L’aspetto di relazione è dato dal tono della voce, dalla postura, dalla mimica facciale, dai gesti. Il prefisso ‘meta’ sta a significare una ricorsività, ovvero, in questo caso: comunicare sulla comunicazione, riguardo ad essa. È nel rapporto tra queste due dimensioni che sta l’ambiguità della comunicazione.
Terzo assioma: la natura di una comunicazione “dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti”. Una comunicazione chiara è una comunicazione con una punteggiatura condivisa dagli interlocutori, che individui con chiarezza l’inizio del discorso, le cause e gli effetti. Senza questo tipo di accordo la comunicazione è ambigua e conflittuale. Risulta però molto difficile punteggiare le sequenze in modo unanime: questo perché ognuno di noi è immerso in una serie infinita di relazioni e di comunicazioni che si influenzano tra loro. La punteggiatura quindi organizza il comportamento umano, ed è data sia da variabili individuali, che contestuali e addirittura culturali. Ad esempio, in una situazione di conflitto coniugale, lui si potrebbe chiudere in sé stesso e lei potrebbe brontolare e criticarlo. Di chi è la colpa? Qual è la causa di questa situazione? “Io mi chiudo in me stesso perché tu brontoli” e “io brontolo perché tu ti chiudi in te stesso” possono essere del tutto equivalenti in base a come viene punteggiato il discorso.
L’assioma numero quattro recita: “gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico”. Il primo è il linguaggio verbale, il secondo è il linguaggio non verbale, ovvero quello corporeo. Nel primo caso l’oggetto, il fenomeno, viene nominato; nel secondo ci si riferisce ad esso, ad esempio indicandolo. Nel modello numerico il rapporto tra nome e cosa nominata viene stabilito arbitrariamente: “le parole sono segni arbitrari che vengono manipolati secondo la sintassi logica della lingua. Non c’è nessuna ragione per cui la parola di cinque lettere g-a-t-t-o denoti un determinato animale”, è solo una convenzione semantica. Nel modello analogico invece c’è più ambiguità, perché il linguaggio del corpo è equivoco, non segue regole grammaticali precise, i gesti non sono sempre riconducibili a un significato univoco.
L’ultimo assioma sostiene che: “gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza”. Nel primo caso gli interlocutori tendono a rispecchiare il comportamento l’uno dell’altro; nel secondo caso i due partecipanti non si trovano sullo stesso piano per quanto riguarda potere ed autorità. Nella condizione di complementarietà, all’aumentare della caratteristica A da parte di un interlocutore, diminuirà quella B da parte dell’altro: viene massimizzata la differenza.
La “Pragmatica della comunicazione umana” non desta solo un interesse teorico, ma ha anche una serie di ricadute pratiche importanti, ad esempio per quanto riguarda lo studio e il trattamento delle psicopatologie, nello specifico della schizofrenia, e l’analisi dei mass media.
Alberto Zicchiero, psicologo
Iscrizione Opl n. 17337
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