Un team guidato dal ricercatore UA, Jeff Stone, ha cercato di espandere ciò che si conosce nelle strategie di riduzione del pregiudizio, scoprendo che una chiave utile da utilizzare di fronte a un individuo con pregiudizi è quella di fargli delle domande retoriche e riflessive (self-affirming questions).
Provateci. La prossima volta che vi confrontate con un individuo che ha dei pregiudizi (con dei bias) e, presi dalla rabbia sentite il bisogno attaccarlo verbalmente, provate a scegliere un approccio più fine e intelligente.
Il ricercatore Jeff Stone, della University of Arizona, ha diretto una squadra per studiare gli individui che hanno pregiudizi nei confronti degli arabo-americani.
Il gruppo ha riscontrato che le persone con forti pregiudizi possono essere più soggetti a cogliere le ingiustizie, provare empatia e senso di colpa, se prima venivano loro rivolte domande che implicavano una conferma di se stessi, invece di scegliere una strada che implicava avere una conversazione più diretta sul tema dei pregiudizi.
Quando un bersaglio si sente discriminato, l’ultima cosa che desidera la persona che ha pregiudizi nei suoi riguardi, è che stia bene con se stessa” dice Stone, professore associato di psicologia sociale presso la UA psychology department.
Fare domande retorico/riflessive non mira a far diventare più amichevole la vittima del pregiudizio agli occhi di chi è pregiudizioso, ma aiuta a entrare nel suo subconscio cercando di trovare un collegamento empatico, fornendo una nuova prospettiva prima che nasca della tensione. Si tratta di entrare in un “piano” diverso di comunicazione, basato sull’empatia.
Lo studio è stato pubblicato iin un articolo a cura di due autori, che si intitola “Thanks for asking: Self-affirming Questions Reduce Backlash when Stigmatized Targets Confront Prejudice“, nella rivista “Journal of Experimental Social Psychology“
I co-autori di Stone sono: Elizabeth Focella, studentessa di psicologia, Jessica Whitehead, laureata presso l’UA, con un dottorato in psicologia, e Toni Schmader, professore associato di psicologia presso l’Università della British Columbia, in Canada.
Per le indagini il team ha condotto due esperimenti su 170 studenti universitari, chiedendo ai partecipanti di compilare un breve questionario per sondare il loro pregiudizio verso gli arabi-americani.
E’ stato chiesto loro di guardare 3 pagine MySpace, presumibilmente creati da studenti – Jason, Chris e Ahmad – contenenti informazioni personali e domande.
Sulla pagina che nell’esperimento chiave è stata postata da “Ahmad”, ai lettori è stato chiesto di considerare le situazioni in cui siano stati equi con gli altri e le situazioni in cui siano stati trattati in maniera equa dagli altri. Dopodiché è stato domandato di considerare come ci si possa sentire nell’essere alienati in base alla razza.
“Le persone con molti pregiudizi sentono che i gruppi che non gli piacciono sono semplicemente diversi; che hanno valori diversi, che sono li per rubargli le risorse e che sono una minaccia”, dice Stone, che lo segnala anche alla UA Self and Attitude Lab and the Social Psychology of Sport Lab.
“Le persone pensano di saper controllare i propri bias, ma non si rendono conto fino a che punto questi fanno realmente parte di loro” spiega Stone.
“Se io supporto i valori che a te sono cari, diventi più resiliente ed elastico alle minacce”
I valori sono stati ribaditi attraverso le domande che probabilmente hanno lasciato credere ai partecipanti che anche “Ahmad” ha valutato di essere trattato in modo equo.
“Ciò che probabilmente accade quando gli si abbassa la minaccia è che essi credono “Non lascierò che il mio atteggiamento influenzi il modo in cui ti tratto”, dice Stone, aggiungendo star conducendo, insieme ad altri, delle ricerche per determinare se lo stesso vale anche per altre popolazioni spesso vittime di pregiudizio, incluse le donne o individui omosessuali.
In questo modo il team ha misurato quanto interesse c’era in ogni partecipante ad incontrare “Ahmad”, scoprendo che chi nel questionario era risultato come pregiudizievole verso gli arabo-americani, ora era più aperto a questa idea.
“Quando si tratta di strategie di riduzione dei pregiudizi, bisogna procedere in modo che le persone non si accorgano che glielo si sta facendo fare”, dice Focella, laureata del terzo anno e che ha dato il suo contributo agli esperimenti.
“Molte volte, quando affronti qualcuno sui pregiudizi, ti si ritorce contro. Non funziona proprio”, ha detto.
Precedenti ricerche hanno riportato che, persino quando individui con pregiudizi provano vergogna o senso di colpa, questi sentimenti diminuivano in una certa misura quando l’individuo si sente attaccato, con la conseguenza che queste persone si sentono alienate o diventano bersagli di una reazione negativa.
“Alcune affermazioni sembrano avere molto successo, come affermare di avere un valore egualitario o di creatività”, spiega Focella, aggiungendo che devono essere condotte maggiori ricerche per capire perché ciò funziona così bene.
Ha aggiunto: “Pensiamo che sia possibile far sì che le persone non pensino solo al proprio gruppo ristretto, ma che ragionino al di fuori della loro “scatola”. Pensiamo sia una via sottile per incoraggiare le persone ad aprire la loro mente”
La squadra è anche arrivata a una scoperta problematica: pur se i partecipanti hanno riportato di sentirsi a loro agio incontrando Ahmad, hanno mantenuto le loro associazioni negative verso gli arabi-americani.
Questo crea un enigma interessante, specialmente per coloro che lavorano attivamente per ridurre l’effetto dei pregiudizi.
Anche se rifiutiamo fermamente l’idea che i soggetti target siano tenuti a farsi carico di ridurre il pregiudizio verso se stessi, è importante fornire ai soggetti opzioni efficaci da utilizzare quando scelgono di affrontare i pregiudizi degli altri”, ha affermato il team nell’articolo a firma dei due studiosi.
L’indagine non mirava a capire perché gli individui ottenessero punteggi alti o bassi su una scala di misurazione del pregiudizio o nemmeno il perché si sentissero minacciati.
I risultati offrono però implicazioni importanti per le persone che lavorano per ridurre i casi di pregiudizio e discriminazione.
“Devono essere fatti dei cambiamenti macrostrutturali a livello della comunità” dice Stone. “Può avvenire nelle scuole o nelle organizzazioni, il cambiamento però sarà lento”
Stone ha riferito poi che il team sta considerando di sviluppare delle strategie da usare per individui presi di mira quando vengono a contatto con persone che hanno pregiudizi.
“Queste sono competenze che una persona può imparare come qualsiasi altra cosa”, dice Stone. “È questione di rafforzare le persone a combattere contro i pregiudizi e di farlo in maniera efficiente”.
[1] http://uanews.org/story/want-reduce-prejudice-try-subtlety
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