Immagine tratta dal fotoprogetto "No Violence", di Michele Simolodi Francesco Greco - Dai giornali: “Modella svedese sequestrata e violentata per sei mesi”. Non sappiamo com'è finito il processo allo stupratore seriale (era già stato condannato a quattro anni per violenza su una modella bielorussa). Però la violenza carnale e il femminicidio sono due piaghe della modernità molto diffuse ed egualmente odiose, che meritano di essere indagate a fondo per cercare di capirne l'etimo.
Per dire: quale meccanismo perverso scatta nella mente dello stupratore, che spesso è seriale? Che rapporto si instaura fra vittima e carnefice? Una ragazza sarà segnata per sempre dalla triste esperienza, sia come persona che come donna. Ne parliamo con la psicologa molisana Anna Colavita, psicologa e psicoterapeuta, analista transazionale (per appuntamento telefono: 339/1424153).
Dottoressa, può una violenza durare mesi senza che la vittima trovi il modo di farla cessare?
Nel caso di rapimento o atto di stupro è chiaro che il potere della vittima di far cessare la violenza è nullo. Spesso la violenza viene accettata e non denunciata anche quando la donna è tra virgolette libera. Si pensi alla violenza tra le mura domestiche dove a esercitarla sono i familiari, padri, fratelli, mariti. I motivi che portano la donna a non chiedere aiuto sono principalmente la vergogna, il sentirsi responsabile per quanto le accade, la paura. La violenza fisica è sempre preceduta e accompagnata dalla violenza psicologica, con la quale l’abusante indebolisce psicologicamente la propria vittima.
Devastata fisicamente e a livello psichico, la donna arriva a sentirsi responsabile per quello che le accade e a convincersi di meritare la violenza, “se abusa del mio corpo, la colpa è mia che con la mia sensualità e il mio atteggiamento lo provoco… se non preparo la cena o trova il piatto freddo, è normale che lui si arrabbi e mi picchi.
Che rapporto può essere scattato fra la modella e il suo violentatore? Spesso inizia una storia d'amore che finisce nella perversione...
Il legame che potrebbe essersi instaurato viene definito la Sindrome di Stoccolma, una particolare condizione psicologica che si verifica quando la vittima manifesta sentimenti positivi, di affetto, nei confronti dell’abusante.
Talvolta le persone abusate possono arrivare anche a innamorarsi dell’abusatore. Man mano che passa il tempo, la vittima si rende conto che la sua vita dipende dal carnefice e sviluppa un meccanismo psicologico di attaccamento nei suoi confronti, per poter evitare di morire.
Inoltre, la vittima comincia a identificarsi con il carnefice, inizia a comprendere le sue motivazioni e finisce col tollerare le violenze subite. Così facendo, elimina anche il rancore che dovrebbe provare verso l’aguzzino. Il comportamento remissivo, comprensivo da parte della vittima, stimola nel rapitore un feedback positivo, che porta alla garanzia di maggiore sopravvivenza per la vittima.
Immagine tratta dal fotoprogetto "No Violence", di Michele Simolo
Ma una donna che ha vissuto un simile inferno, potrà mai avere una vita normale e un'attività sessuale gratificante?
Fobie, ansia, attacchi di panico, forme depressive, disturbi sessuali, disturbi del sonno o dell'alimentazione, bassa autostima, paura di amare, distanza affettiva da tutti, aggressività, autolesionismo sono le conseguenze della violenza sull’apparato psichico della vittima.
Alla domanda specifica: la vittima potrà tornare a una vita normale, potrà mai avere una vita sessuale gratificante, la risposta è: sia il terapeuta che il paziente si trovano continuamente davanti al fatto che il passato non si può cambiare, ma anche davanti al fatto che il passato è importante solo fino a quando continua a vivere nel presente nel paziente, nelle fantasie, nel suo mondo interno. E su questo aspetto il terapeuta può fare del suo meglio affinché il passato non ritorni nel presente.
L’indice migliore di risoluzione è quando il passato non impedisce più al paziente di vivere, di coinvolgersi pienamente nelle relazioni con gli altri. Presente e futuro diventano più importanti del passato.
Sotto l'aspetto psicologico, come dovrà essere assistita da uno specialista per il superamento del trauma e quanto dovrà durare la terapia?
La vittima dell’abuso vorrebbe dimenticare e rimuovere quanto le è accaduto. Il non voler parlare del problema per non ricordare e rivivere l’orrore è il primo ostacolo da superare. Per poter stare meglio e avviarsi alla guarigione, la vittima deve raccontare e dare nuovo significato a quanto le accaduto, liberandosi da sensi di colpa e vergogna.
Il terapeuta deve stimolare il paziente a legittimare la sofferenza patita durante l’abuso e sostenerlo a sentirsi di nuovo al sicuro ritrovando il controllo su se stesso e sull’ambiente.
Ma cosa passa nella mente dello stupratore?
Più che rispondere al che cosa passa nella mente dello stupratore, posso dirle che spesso chi agisce violenza è colui che l’ha subita. Da abusato ad abusante ci troviamo di fronte a un adulto con la necessità di mettere a tacere la sua sofferenza interiore, i vecchi sentimenti di impotente umiliazione: questo accade se le circostanze non gli hanno permesso di sperimentare nuove modalità di attaccamento, capaci di correggere, almeno in parte, i tratti di personalità danneggiati dall’abuso, dalla violenza.
L’abuso che potrà compiere a sua volta avrà la finalità di difenderlo dalla consapevolezza di essere stato abusato. "Finalmente non sono più io che subisco questo maltrattamento, sono io a essere potente e tu sei ora la vittima!". Il maltrattamento compiuto è una "coazione a ripetere egosintonica", per rivivere l’abuso non più dalla parte passiva e impotente, ma dalla parte attiva e potente.