Il disturbo borderline di personalità, definisce un soggetto con la tendenza a reagire alla quotidianità con dei livelli emotivi eccessivi e variabili, e da un senso di precarietà in merito alla propria identità (chi sono, dove sono, dove vado, cosa voglio, perché succede così, etc). I soggetti borderline hanno prevalentemente poca fiducia in sé stessi e tendono ad avere comportamenti distruttivi sia nei proprio confronti che con gli altri. Non di rado, inoltre vi possono essere momenti depressivi acuti anche estremamente brevi che si alternano a comportamenti normali.
Si osserva talvolta in questi pazienti la tendenza all’oscillazione del giudizio con pensieri del tipo “bianco o nero”, oppure con il “sentire” o credere che una cosa o una situazione possa essere solo tra possibilità opposte del tipo:”amico” o “nemico”, “amore” o “odio”, ecc. Dietro questa estremizzazione, non c’è un processo di intellettualizzazione mediato ad esempio dalla esperienza, ma viene percepita, sentita, vissuta, con una passionalità tipica di persone con una struttura di personalità che mantiene e amplifica certi meccanismi arcaici di difesa.
I pazienti con disturbo borderline sono caratterizzati, inoltre, da una generale instabilità esistenziale. La loro vita è improntata da una serie di relazioni affettive intense e turbolente che però, improvvisamente e bruscamente possono terminare; questo tipo di esperienza può generare effetti molto gravi provocando, ad esempio, “crolli” nella vita lavorativa e di relazione dell’individuo.
L’adolescenza è il momento in cui spesso (ma non sempre) vede l’insorgenza di questo disturbo ed ha molte cose in comune con le classiche crisi di identità e di umore che caratterizzano il passaggio all’età adulta, con la sostanziale differenza che il tutto avviene con un impatto molto più devastante e prolungato, determinando cambiamenti della personalità che avrà riflessi anche sulla personalità adulta dell’individuo. Le aree interessate da questo disturbo sono: affettivo, cognitivo e comportamentale.
In sintesi, questo disturbo è caratterizzato da una generale instabilità delle relazioni sociali, dell’autostima e dell’umore e una marcata impulsività, che prevalentemente insorgono dopo l’adolescenza ma che possono comparire (raramente) anche nell’infanzia e sono presenti in una varietà di contesti del tipo: instabilità nell’immagine di se, oscillazioni dell’umore, tendenze suicide, comportamenti auto lesivi, senso di vuoto e inutilità, paura dell’abbandono (spesso ingiustificato), tendenza manipolatoria (per difendersi dai rischi dell’abbandono), comportamenti compulsivi (gioco d’azzardo, guida pericolosa, abuso di sostanze dannose, disturbi alimentari, disturbi della sessualità), esagerata reattività emotiva, irritabilità accentuata, etc.
Possiamo quindi sintetizzare che il Disturbo Borderline è caratterizzato da instabilità nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé e nelle relazioni affettive, e da impulsività elevata.
Alcune rilevazioni statistiche sostengono che circa il 2% della popolazione, il 15% dei pazienti in psicoterapia e il 27% dei pazienti ricoverati sono affetti da Disturbo Borderline di Personalità. Una percentuale dal 25% al 65% dei pazienti con disturbo della personalità è affetta da Disturbo Borderline: ciò lo rende il disturbo di personalità maggiormente diffuso.
Quale terapia
Ogni terapeuta ha il suo metodo, mediato dalla sua formazione. Tuttavia, il compito primario è quello di analizzare i singoli comportamenti percepiti come limitanti e non desiderati attraverso la relazione terapeutica. Le singole percezioni e i relativi comportamenti, vengono analizzati per eventualmente rielaborare alternative compatibili. L’obiettivo è rendere libero il paziente di agire come reputa giusto per se stesso e non costretto come risposta a specifiche sensazioni o situazioni.
L’approccio comunque viene affrontato su due fronti:
1. Il “qui e ora “ (hic et nunc) teso a fornire comportamenti alternativi immediati
2. Indagine sul passato del soggetto per individuare eventuali cause prevalentemente frutto di rimozioni di conflitti.
Non di rado, tali soggetti fanno uso di psicofarmaci. Qualora tale uso ha ‘stabilizzato’ l’umore, potrebbe essere tatticamente errato rinunciare a tale alleato. Una volta che la psicoterapia comincia a fornire gli attesi benefici e di concerto con lo psichiatra/neurologo e d’accordo con il paziente, potrebbe essere utile avviare un processo di riduzione graduale del/dei farmaci.
Share this post
Open all references in tabs: [1 - 8]