Psicologia. In trono a Edipo e dintorni

 

Edipo, ovvero il padre, il figlio, la donna; il potere, l’autorità la violenza; il desiderio, l’istinto e la sessualità; il dogma, l’obbedienza cieca e la profanazione; la tradizione, il sovvertimento e la rivoluzione, l’individualità, la specie e il futuro dell’umanità. Si potrebbe continuare all’infinito, ma quello che si può cogliere da questa prime parole è che Edipo non è soltanto la nota tragedia di Sofocle da cui Freud ne trarrà il famoso complesso, ma rappresenta il crocevia generazionale che svela la natura intima di un MITO a carattere universale. Sulle tracce di Jung, il linguaggio dell’inconscio è nel suo complesso un processo inesauribile di mitopoiesi e si potrebbe concordare con Hilmann sul fatto che quando Freud fa di Edipo un piccolo Hans , egli in realtà non svilisce il mito trasformandolo in nevrosi, ma al contrario, trasferisce la pulsione nevrotica sul piano alto e universale della mitologia. Non è un caso che esistono varie versioni del mito: dall’Edipo omerico della grecia arcaica alla trilogia tebana di Eschilo (Laio, Edipo, Sette contro Tebe); dall’Edipo di Euripide di cui parla nelle Fenicie (del quale rimangono solo pochi frammenti) a quello latino di Seneca; inoltre i temi edipici classici si ritrovano rivisitati e filtrati nelle tradizioni folkloriche della letteratura cristiano-medievale ed anche nei miti, nelle fiabe e nelle leggende della cultura orientale e medio-orientale. Quindi Edipo è tutti noi! Ed è sempre attuale,  più che mai oggi, in questa società dove sembra che il concetto di autorità paterna (portatrice dei valori tradizionali) sia diventata come l’araba fenicia: invisibile, imprendibile, incontestabile, semplicemente perché non c’è più! Beninteso non s’intende brutalmente dare tutta la colpa ai padri o ai figli, le ragioni sono certamente complesse e certamente trascendono le singole responsabilità (pur queste potendo esistere): dall’affermarsi di un mondo sempre più super-tecnologizzato in cui il “tutto” sembra potersi risolvere con un semplice click, alla perdita di riferimenti di valori antropologici collettivamente condivisi, all’arido monopolio di un’economia mondiale imperante che non “sente” ragioni umane. Ma se l’approfondimento storico-critico di come si sia addivenuti a tale situazione esula da questo scritto perché parte da molto lontano, almeno un interrogativo  ce lo possiamo porre. Nel mondo del postmoderno in cui come avrebbe già detto tempo fa G.Vattimo, vige il “pensiero debole”, divenuto ormai debolissimo, in cui i valori (allorchè riconoscibili), si muovono quotidianamente come le dune nel deserto, senza fornire punti di riferimento orientativi sicuri, come si fa a diventare grandi senza smarrire l’orizzonte della crescita? Se l’autorità ha perso il peso specifico del valore della verità, ripercorrendo la traccia freudiana, quale padre c’è da emulare, superare o addirittura abbattere, quale simbolico pasto totemico c’è da consumare con ingordigia o quale orrore per questo, possono garantire il ricambio generazionale?

 

Intendiamoci, ciò non deve essere frainteso come un inno nostalgico di ritorno della pedagogia autoritaria che ha creato generazioni di disagiati  nell’intento di trasmettere quel peso specifico sbagliando però  nel metodo; al contrario,  idee “forti” possono parimenti essere veicolate da uno spirito democratico, la “Repubblica” di Platone  ad. esempio fu un primo esempio di utopica democrazia politica animata da idee altrettanto forti e spregiudicate. Attualmente assistiamo ad una situazione completamente ribaltata! Una democrazia  che definirei “vuota”,  in cui allo spappolamento del criterio del valore che mentre fornisce “sicurezza”, rappresenta anche un “limite-tabù” invalicabile , consegue lo spappolamento del desiderio profondo: oggi nel gran super-market dei consumi non c’è “nessuno” che impedisca di avere “tutto”, ma senza desiderarlo veramente, in pratica senza  amare  “nulla”.

Genitori colpiti dalla sindrome Peter-Pan s’intrecciano con adolescenti adultiformi, in cui non solo si confondono le competenze tra chi essendo depositario di valori recita il ruolo del “maestro” e chi invece dovendoli assumere recita quello di “allievo”, ma soprattutto è “cieca” la vista lungimirante degli stessi valori, incapace di guardare verso l’orizzonte futuro. Questa rubrica rappresenta un tentativo di circumnavigare intorno ad Edipo, cercando di sciogliere i nodi che intrecciano la sua storia secondo i tre grandi fili universali: l’infanticidio, il parricidio, l’incesto. Lo si farà a puntate, mettendo particolarmente a confronto Sofocle (mito) e Freud (complesso), dal momento che quest’ultimo si è rifatto espressamente al suo “Edipo re”.Evitando puntigliosità letterarie, si cercherà di mantenere  l’assetto di un rispetto filologico dei testi, tentando escursioni nell’attualità per quello che  (per quanto dicevamo all’inizio) lo stesso mito può insegnare, ma senza scadere in facili sociologismi. Per non debordare nella prolissità non è stato riportato il mito di Edipo descritto nella tragedia sofoclea, ma nel proseguio delle puntate si consiglia il lettore da andare a rileggerselo.

BIBLIOGRAFIA

  • j.Hilmann,in K.Kerényi e Hilmann, “Variazioni su Edipo”,Cortina, Milano, 1992   
  • S.Freud “Totem e Tabù”,1912-13, Boringhieri, Torino

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