Il gioco è un attività che accompagna l’uomo in tutte le fasi della vita: nell’infanzia, il gioco consente al bambino di esplorare e conoscere il mondo con le sue regole, in seguito, l’adulto lo utilizza come momento di condivisione con gli altri (giochi culturali, cruciverba, ecc …). Ma ci sono momenti nella vita durante i quali il gioco può diventare un problema e cioè quando si instaura una dipendenza da esso.
Tanti sono i modi in cui questa problematica può essere definita: gioco patologico, dipendenza da video-terminale, vizio da gioco, febbre da gioco, ludopatia. Il DSM IV-R (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) la definisce “dipendenza da gioco”. L’utilizzo della parola dipendenza non è casuale poiché, anche se non vi è la presenza di una sostanza, le modalità con le quali si sviluppa tale patologia ha caratteristiche simili alle dipendenze da sostanza.
La persona che si trova coinvolta in questa patologia corre diversi rischi che coinvolgono sia la sfera personale, con conseguenze anche gravi a livello relazionale e dei ritmi del ciclo di vita, sia la sfera economica viste le ingenti perdite nelle quali può incorrere. I comportamenti diventano quasi totalmente finalizzati al gioco con la programmazione e la premeditazione continua e ricorrente delle prossime mosse e delle modalità con le quali attuarle. Il pensiero ossessivo di queste azioni e il loro metterle in atto causa stati d’ansia, insonnia, nervosismo e irritabilità con un conseguente calo dell’attenzione e compromissione delle attività lavorative, sociali e familiari che diventano sempre più marginali rispetto all’aspetto predominante: il gioco.
Una fondamentale distinzione è quella tra i giocatori che si recano fuori casa e vanno in luoghi specifici di gioco come bar, ippodromi, tabacchi, centri per le scommesse ecc … e i giocatori che hanno la possibilità di giocare in qualsiasi momento, a casa, per strada, perché il gioco è sempre con loro grazie agli strumenti tecnologici. Vorrei prestare maggiormente attenzione a quest’ultimo aspetto, meno identificabile del primo perché più nascosto e meno evidente, almeno nelle prime fasi della dipendenza.
Gli strumenti tecnologici, in questo caso, lungi dal’essere utilizzati per il loro scopo primario, diventano veri e propri strumenti di dipendenza (basti pensare agli I-Phone o Smart Phone, non più deputati alla sola telefonia ma ad altre mille funzioni quali quelle di agende, macchine fotografiche, registratori vocali, sveglia, calcolatrice, radio, timer, lettore mp3 o alle Wii - Nintendo, nate prima come semplici giochi ma presto trasformate in strumenti polifunzionali per fare sport, cucinare, ecc… o allo stesso Facebook, nato per contattare gli amici e che, sempre più frequentemente, propone dei giochi).
E’ così che la distinzione tra virtuale e vita reale si assottiglia o, addirittura, sparisce, è così che molte persone, nella vita quotidiana, si ritrovano a fare azioni automatiche innescate dal gioco, come quel signore che, durante la guida, si è incolonnato incastrandosi tra due macchine, perché nella sua mente era lì che il pezzo si doveva incastrare, come nel gioco del Tetris, o come quegli altri soggetti che compiono delle azioni non consapevoli mentre nella loro mente passano le immagini del gioco. Tali aspetti sono stati ben esposti in un film, “Ben X”, che narra di un ragazzo con disturbo autistico che si ritrova non solo vittima di bullismo ma anche dipendente da un gioco di ruolo.
La soluzione? Non è facile uscire da una spirale che coinvolge sempre più intimamente e che diventa parte integrante della vita ma un primo passo è arrivare ad ammettere che qualcosa non va e che c’è bisogno dell’aiuto specialistico. Come in quasi tutte le dipendenze, la negazione del problema è, infatti, un aspetto comune dei giocatori.
Negli ultimi anni è stata prodotta tutta una serie di letteratura scientifica in merito e sono nati numerosi servizi specialistici di aiuto psichiatrico e psicologico sia pubblici che privati. Recentemente il ministro della salute, durante un’intervista al quotidiano “Avvenire”, ha dichiarato che il gioco d’azzardo patologico (GAP) verrà considerato una malattia dal Sistema Sanitario Nazionale Italiano, sarà oggetto di prevenzione e assistenza, verranno rafforzati i servizi nelle Asl e, inoltre, nel rispetto della persona e tutela dei minori, saranno regolamentati anche gli spot.
Sensibilizzare e informare sul problema rimane, dunque, un intervento fondamentale e necessario affinchè chi è affetto da dipendenza da gioco possa rivolgersi alle strutture competenti e riappropriarsi , pian piano, della propria vita.
Dott.ssa Tiziana Favarò
Psicologa, Psicoterapeuta della Gestalt
(formatasi presso Istituto di Gestalt H.C.C. ITALY, Palermo)
www.gestalt.it