Alla vigilia di un appuntamento (sia esso galante o di natura lavorativa), risulta spesso cruciale la scelta dell'abbigliamento adeguato da indossare, dal momento che; volente o nolente, la prima impressione visiva che forniamo al nostro interlocutore si rivela spesso essere il banco di prova decisivo di ogni nostra pregressa aspettativa.
Rapportando il discorso a quell'immenso guardaroba mediatico rappresentato dal mondo dei social networks, pare che convenga impiegare un'identica cura nella scelta di pic e avatar fotografici e che le immagini da noi postate su Facebook siano in grado di fornire un'impressione relativa al nostro presunto carattere e alle nostre (altrettanto presunte) inclinazioni, persino più tenace di quella comunemente proposta da abiti gessati, cardigans, camicie, jeans o bermuda.
Secondo un recente studio condotto dai ricercatori del dipartimento di Psicologia dell'Università di New York, gli ormai abusatissimi selfies, risultano essere un elemento chiave nel processo che spinge l'osservatore a formulare un netto giudizio sulla personalità del soggetto ritratto e a decretarne, senza troppa cautela, la presenza di supposte caratteristiche e attitudini, difficili da sfatare in un secondo tempo.
Sarebbe infatti sufficiente un rapido sguardo ad un ritratto fotografico per innescare una catena di associazioni di idee di tipo inconscio, finalizzata a collegare il volto appena percepito con altrettante caratteristiche comportamentali e far precipitare il soggetto in questione in una rigida catalogazione mentale, basata sulla presunta positività o negatività delle componenti da noi individuate nella foto.
Per giungere a questa conclusione, il team di ricerca americano ha condotto un esperimento durante il quale sono state analizzate oltre 1000 fotografie presenti sul web, con l'obiettivo di dar vita ad un modello di carattere generale in grado di spiegare l'insorgere di una determinata associazione di idee sulla base della presenza (o dell'assenza) di determinate caratteristiche fisiche dei soggetti ritratti.
Dopo aver suddiviso i 1000 volti in base a 65 differenti componenti fisiche, individuate come cruciali nel processo di formazione della celebre prima impressione, i selfies sono passati al vaglio di alcuni volontari, chiamati ad esprimere un'opinione in merito alle persone raffigurate e alla percezione delle loro qualità fisiche.
Dallo studio è emerso che, non solo le componenti considerate come cruciali dai ricercatore facevano riscontrare un'analoga impressione presso i volontari superiore al 50% dell'attendibilità, ma anche che era possibile manipolare la percezione del gruppo di osservatori, alterando le specifiche caratteristiche dei volti per farli rientrare in una determinata categoria ideale, legata alla cordialità, piuttosto che all'aggressività.
Pare dunque che i nostri inconsapevoli volti e la nostra consapevolissima volontà di mostrarli ad un ampio pubblico durante le varie fasi della giornata, influenzino (in positivo o negativo) l'opinione che terze persone hanno di noi e che, per tanto, potenziali nuovi incontri e nuove conoscenze resteranno, almeno inizialmente, vincolati proprio a quell'autoscatto originariamente concepito per accattivare le simpatie di amici e followers vari.
Se la foto del vostro profilo dovesse trasudare ostilità ed aggressività da tutti i pixels, suggeriamo dunque il ricorso a qualcosa di più mite e pacato; soprattutto se avete in previsione un incontro (di tipo galante o lavorativo) durante le prossime ore e il vostro guardaroba dovesse trovarsi desolatamente sguarnito, magari proprio a causa dell'eccessivo tempo trascorso su Facebook.