Tokyo – Ascoltare determinati brani musicali particolarmente tristi e malinconici, contrariamente a quanto la ragione spingerebbe a pensare, evoca in noi indefinite emozioni positive che in qualche modo ci rendono più romantici e felici, ed è per questa ragione che l'apprezziamo così tanto. E' il risultato cui sono giunti ricercatori giapponesi dell'Università delle Arti di Tokyo e del RIKEN Brain Science Institute dopo aver sottoposto un gruppo di 44 volontari – compresi musicisti professionisti e non – ad una serie di test ascolto, con successiva compilazione di questionari dove andavano riportate le parole chiave relative alla percezione della musica ascoltata ed allo stato emotivo scaturito. Tra i brani utilizzati, sia allegri che malinconici, gli psicologi giapponesi hanno sottoposto ai partecipanti il Notturno in F minore “La Séparation” di Michail Ivanovič Glinka, l'Etude “Sur Mer” in G minore di Felix Blumenfeld ed il pezzo “Allegro de Concierto” in G maggiore di Enrique Granados. I brani sono stati suonati anche in chiavi minori e tonalità maggiori per valutare le diverse influenze negli ascoltatori e metterle successivamente a confronto. Dai risultati è giunta la conferma che la musica triste scaturisce sentimenti contraddittori “perché - spiega il coordinatore della ricerca dottor Ai Kawakami dell'Università di Tokyo - se provocasse in noi solo emozioni negative finiremmo semplicemente per non ascoltarla, ma sappiamo tutti che non è così”. “Indipendentemente dai gusti e dalla formazione musicale – prosegue lo psicologo – le persone che ascoltano musica triste provano questa emozione ambivalente di tristezza e romanticismo e, a differenza della tristezza provocata dalla vita quotidiana, quella proveniente dall'Arte viene vissuta dal nostro cervello come piacevole” . “ Ciò avviene – aggiunge Kawakami – probabilmente perché non rappresenta per noi una reale minaccia”. “Se si soffre per qualche emozione spiacevole evocata attraverso il ricordo o dalla vita quotidiana, la musica triste può essere utile per alleviarne in qualche modo la componente negativa”, conclude il ricercatore. I dettagli di questo affascinante studio, che in parte ne smentiscono un altro ad opera dei ricercatori dell'Università del Missouri, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Frontiers in Psychology.
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