La scelta di mantenere un certo livello di liquidità in un portafoglio è pienamente giustificata, ma gli investitori tendono a pagare troppo per questa opzione mentre sottostimano gli extrarendimenti offerti dalle attività più illiquide. La sopravvalutazione della liquidità sembra essere maggiore nel comparto azionario rispetto a quello obbligazionario, in parte perché nel primo i prezzi sono fortemente influenzati dalle "storie", mentre nel secondo la determinazione dei prezzi è una questione puramente matematica.
Sid Browne: Secondo la teoria economica, l'accettazione di attività illiquide in portafoglio presuppone il riconoscimento di un premio di rischio. Quali sono i risultati dei suoi studi a riguardo?
Roger Ibbotson: Vorrei iniziare precisando che le azioni oggetto del mio studio sono in realtà quelle quotate in borsa. Esiste sicuramente un ampio ventaglio di gradi di liquidità, ma si tratta sempre e comunque di titoli liquidi. C'è un solido motivo teorico per cui ci si attende che le azioni meno liquide – in realtà le attività poco liquide di qualsiasi tipo – presentino valutazioni più basse. Gli investitori vogliono liquidità, e sono disposti a pagare per averla. Un aspetto particolarmente interessante sui mercati liquidi è il fatto che la rinuncia a una componente esigua di liquidità può produrre un impatto sorprendentemente elevato – acquistando ad esempio azioni che vengono scambiate ogni ora invece che, diciamo, ogni minuto.
José Antonio Blanco: Possiamo legare questo fenomeno al premio di rischio oppure si tratta del risultato di un'inefficienza di mercato, nel senso che gli investitori si concentrano soltanto su determinate società?