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Focus a cura di Maurizio Brasini docente a contratto
di
psicoterapia individuale e teoria
del cambiamento all’Università degli Studi
dell’Aquila (puoi chiedergli un consulto qui)
Non esiste una definizione scientifica del termine workaholic,
letteralmente lavoro-dipendente, né si fa riferimento a una dipendenza di tipo
lavorativo nel manuale di psichiatria. Nella società di oggi, spinti anche
dall’onnipresenza delle nuove tecnologie che ci consentono di essere reperibili
e operativi 24 ore su 24, siamo tutti un po’ presi
dalla smania dell’operosità
e del
non fermarsi mai. Si può parlare di dipendenza in senso patologico quando
gli impegni professionali diventano la priorità assoluta
e vengono messi in
secondo
piano sia la salute che i rapporti interpersonali. Tuttavia, spesso la
persona non si accorge di questi effetti negativi, ma si sente euforica e
gratificata dalla propria dedizione al dovere. Come Jennifer Lopez:
si vanta
del suo modo di essere,
che le piace e la fa stare bene (continua a leggere la testimonianza di Jennifer Lopez qui).
RELAZIONI AFFETTIVE. Non importa se la sua esuberanza le procura problemi
con gli uomini. Spesso le donne super impegnate, molto energiche, che hanno
sempre la giornata piena e sembrano non stancarsi mai, non riescono a vivere
relazioni equilibrate con l’altro sesso. Faticano a trovare un compagno
che
stia al passo con i ritmi frenetici di un’esistenza sempre di corsa.
I partner
si sentono inferiori, non adeguati, messi in disparte.
E la storia finisce (o
non decolla proprio). Quello che la cantante sembra dire è che l’universo
maschile non è pronto ad accogliere donne «troppo perfette»: belle, brave,
capaci. Lui preferisce tirarsi indietro. Lei, pur di non cambiare
se stessa,
sceglie di stare da sola.
MULTITASKING. Un’altra parola sopravvalutata. Spesso associata
al sesso
femminile, si riferisce
alla capacità di fare più cose simultaneamente e in
modo soddisfacente. Ora, ciascuno di noi ha un bagaglio di risorse, chiamate
funzioni esecutive, che ci consentono di svolgere le nostre attività
quotidiane: capacità di attenzione, ragionamento e così via. Uomini e donne
hanno lo stesso «pacchetto», ma le seconde,
nel corso degli anni, hanno dovuto
abituarsi a gestire ambiti di vita diversi (professionale, familiare,
coniugale) e questo
«allenamento» ha affinato le loro abilità di
equilibriste.
Con il rischio, però, di strafare.
RETE DI AIUTI. Il senso di onnipotenza può portare a offuscare la propria
visione di sé. Della serie: «Sono talmente brava
a fare tutto da non aver
bisogno
di nessuno». Sbagliato. J. Lo insegna: si può essere donne
realizzate
sul lavoro e madri eccellenti, ma bisogna imparare a farsi aiutare
e
a delegare. Chiedere aiuto non
è un segno di debolezza.
Fate pace con i vostri
limiti. Non
è un messaggio scoraggiante per
le donne, specialmente quelle
che
dopo la maternità vogliono rimettersi in pista. Anzi. Nessuno dovrebbe
rinunciare ai propri sogni, ma cercare di perseguirli
con buon senso e
consapevolezza di sé e delle proprie possibilità.
MAMMA SINGLE. Chi deve
crescere i figli da sola ha difficoltà doppie. Il tempo sembra non bastare mai.
È importante,
oltre ad affidarsi ad aiuti esterni, trovare il modo per
recuperare spazi e tempi per sé.
Prendendosi delle sane «pause di
decompressione», in cui dedicarsi solo a se stesse. Un’ora in palestra, un
pomeriggio di shopping,
un aperitivo con le amiche.
Bisogna sapersi fermare,
per
poter ripartire con il piede giusto.
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