Mentre in calce al precedente semiserio articolo sui rampicanti che non rampicano di Piazza Kennedy continua il piacevole scambio di idee e commenti tra i lettori, torniamo sull’argomento stavolta meno giocosamente e più formalmente.
Tra i lettori che si sono interessati ai falsi gelsomini e alla loro faticosissima scalata verso la vetta dei pilastri c’è stata l’architetto Anna Fierro che ci ha offerto uno spunto di riflessione sull’urbanistica avellinese, un punto di vista emerso nel corso di un convegno tenutosi a Roma nel 2009 e che, nonostante la sua datazione, risulta ancora attualissimo.
Questo simposio promosso dall’Ordine degli Architetti Pianificatori e Paesaggisti di Roma e provincia e patrocinato dall’Ordine degli Psicologi del Lazio dal titolo "Le percezioni psicologiche e le patologie psichiatriche nella progettazione dello Spazio Architettonico”, ha dato il via ad una analisi che rimane ancora unica nel suo genere, ovvero la relazione che intercorre tra spazi architettonici e l’effetto di questi sulla psiche dei loro fruitori.
L’attualità di questo convegno del 2009 si concretizza nel fatto che due luoghi simbolo di Avellino, all’epoca freschi della loro riqualificazione, ovvero Piazza Kennedy e il Corso Vittorio Emanuele, sono stati oggetto dell’analisi di questo pool di architetti e psicologi che ne hanno analizzato sia la progettazione architettonica, sia l’impatto che il risultato ottenuto ha sulle percezioni e la mente di coloro che vivono quegli spazi.
Partiamo dal Corso, definito “lo spazio desolato”. Riporto testualmente: «E’ lo Spazio che ci respinge, non ci accoglie; malinconico e cupo ci pone in una condizione di turbamento rendendoci malinconici a nostra volta. Anche nelle ore centrali del giorno si presenta […] mestamente vuoto e disadorno, mentre le altre due strade parallele sono intasate di traffico. La sensazione spiacevole di percorrerlo risiede nella sproporzione tra il fruitore e lo spazio disponibile che provoca smarrimento e desolazione, non offrendo alcun senso di protezione, quindi, non infondendo serenità a chi vi passeggia».
Questo passaggio esprime il punto di vista degli intervenienti al convegno che hanno reputato il volto del “salotto buono” di Avellino come uno spazio troppo ampio, troppo vasto e disadorno. Queste caratteristiche, affermano gli studiosi di psicologia, creano inconsciamente un senso di smarrimento e di non-protezione in chi ci cammina con la conseguente risultante che gli astanti tendono a marciare costeggiando i palazzi, non al centro della carreggiata.
Ovviamente il problema non sta nel fatto che gli avellinesi camminano a bordo strada o al centro, ma nella progettazione del camminatoio che risulta angosciante e oppressivo nella sua larghezza e vuota vastità. Questo effetto non risulta palese per chi cammina per il Corso, ma sono piccolezze percettive che solo il subconscio registra e, che voi crediate o no alla psicologia della Gestalt (o “della percezione”) come scienza esatta, hanno un effetto sulla psiche. Badiamo bene: non stiamo parlando di gusto artistico o di bellezza, che sono due misure totalmente opinabili e soggettive, ma di funzionalità e percezioni subconsce.
Analogamente Piazza Kennedy, definito addirittura “lo spazio perverso”. Anche qui riporto testualmente: «E’ lo Spazio che ci crea ansia, manca di sincerità, cela qualcosa di losco, ci inquieta. Accade ma non ne siamo consapevoli, l’unica sensazione percepibile è il disagio e, conseguentemente, il desiderio di allontanarcene. Il falso gelsomino, raggiunta la sommità delle stesse, distesosi lungo i cavi metallici dovrebbe estendersi fino a raggiungere la pianta posta di fronte, la quale dovrebbe compiere, a sua volta, la stessa impresa. Finito l’articolato percorso, le temerarie piante dovrebbero infoltirsi e, una volta divenute frondose, si realizzerebbe il camminamento in ombra. La natura offre elementi meno complessi e invasivi per realizzare questo effetto: gli alberi. Il subconscio percepisce le anomalie dei materiali, gli Inganni Visivi e Sensoriali, creando uno stato di disagio che ci porta ad esimerci inconsapevolmente dal frequentare luoghi che ne sono portatori».
Come prima, l’analisi degli psicologi si riferisce a meccanismi che entrano in gioco nel subconscio delle persone e che, quindi, non sono meccanismi palesi dei quali la nostra coscienza si accorge. La manifestazione di questi meccanismi di esplica nella tendenza a non rimanere nel luogo oggetto dell’analisi, ma solo di transitarvi. Insomma, non è un luogo di aggregazione, ma di passaggio.
Questo è il risultato al quale arrivarono nel 2009. Può interessare come punto di vista o no, resta il fatto che ci troviamo di fronte a due opere di riqualificazione che osservare e vivere lascia un profondo senso di incompiuto che, probabilmente, è l’analisi più veritiera (e fastidiosa) di tutte.