Dott. Vittorio Catalano – Attività indipendente nell’ ambito della psicologia clinica ad approccio analitico, delle neuroscienze, del coaching psicologico ed in ambito psicoeducazionale, focalizzati sulla cura, la prevenzione, e la promozione della salute psicosociale. Cagliari
L’esperimento carcerario di Stanford condotto dal professor Zimbardo, è prova tangibile di come lo stigma e la deumanizzazione agiscano sulla vita delle persone, sulla loro integrità, sulla loro salute, e su come questi
meccanismi siano presenti anche nella quotidianità dei nostri contesti sociali. Un gruppo di studenti universitari, risultati equilibrati psichicamente e sani fisicamente, sono i soggetti della ricerca la cui durata è di quindici giorni. Tutti sanno che si tratta di una prigione simulata, tutti danno il loro consenso quando vengono divisi in due gruppi: le guardie e i detenuti. Già dal primo giorno, i comportamenti degradanti dei detenuti privati del nome ma identificati con numeri, sono pesanti. Aumentano di giorno in giorno le umiliazioni, i partecipanti sembrano completamente assorbiti dai loro ruoli fittizi, tanto che i “detenuti” dimenticano che possono lasciare l’esperimento quando vogliono. Gli studenti si sono trasformati in guardie spietate e detenuti abusati. La prigione è diventata reale! Alcuni “detenuti” vengono dimessi per le loro problematiche condizioni psicologiche, subentrano dei sostituti. L’esperimento viene sospeso dopo solo una settimana, perché la situazione dentro al “carcere” sta andando fuori controllo. Questa fucina di depersonalizzazione ha dimostrato sul campo, come un contesto chiuso e deprivante, possa alterare il concetto di sé, oltre che la relazione col mondo, e la percezione emotiva di esso. In che modo possono, queste scoperte, essere correlate ad un vissuto traumatico ed ad un esperienza di deprivazione alimentare, lo spiega, intervistato dopo la fine dell’esperimento, il numero 416.
“ Ho cominciato ad avere l’impressione di perdere la mia identità. La persona che chiamo Clay, la persona che mi ha messo in questo posto, la persona che si è offerta volontaria per entrare in questo carcere, perché per me era un carcere, per me è ancora un carcere, non lo considero un esperimento o una simulazione: è un carcere gestito da uno psicologo invece che dallo stato. Ho cominciato ad avere l’impressione che l’identità, la persona che ero, che aveva deciso di andare in carcere, fosse lontana da me, fosse remota, che in fin dei conti non fossi io. Io ero il “416”. Ero davvero il mio numero, e il 416 doveva decidere cosa fare, ed è stato allora che ho deciso di digiunare. Ho deciso di digiunare perché era l’unica ricompensa che le “guardie” ti davano. Minacciavano sempre di non farmi mangiare, ma dovevano darti da mangiare. E’ cosi ho smesso di mangiare. Allora ho avuto una specie di potere su qualcosa, perché avevo trovato l’unica cosa su cui non potevano farmi niente. Alla fine sarebbero stati nella merda se non mi avessero fatto mangiare. E cosi, essere capace di digiunare significava umiliarli”.
Che cosa è la sindrome da rifiuto pervasivo (PRS)?
La Sindrome da rifiuto pervasivo è una condizione patologica giovanile che coinvolge diversi livelli di rifiuto in ambiti diversi, accompagnati da un drammatico ritiro sociale ed una resistenza decisa al trattamento, che porta ad una condizione gravemente invalidante e potenzialmente pericolosa per la vita. Non ci sono prove di una malattia organica. Nel 1997, Thompson Nunn hanno suggerito specifici criteri diagnostici per questo ‘nuova’ sindrome. Ci può essere un rifiuto profondo e pervasivo per mangiare, bere, camminare, parlare o prendersi cura di se stessi. Non ci sono attualmente condizioni organiche o psichiatriche a spiegare la sintomatologia. I criteri diagnostici per la sindrome da rifiuto pervasivo (Thompson Nunn, 1997) sono:
Chiaro rifiuto del cibo e la perdita di peso
Ritiro sociale e il rifiuto della scuola
Rifiuto parziale o totale in due o più dei seguenti settori: movimento, comunicazione, attenzione alla cura di sé
Resistenza attiva e arrabbiata del paziente verso chi cerca di aiutarlo o incoraggiarlo
Nessuna condizione organica per spiegare la gravità o il tipo dei sintomi
N essuna altra malattia psichiatrica che potrebbe migliorare la comprensione dei sintomi
La differenziazione da altre malattie
I pazienti con sindrome da rifiuto per vasivo, possono avere molte caratteristiche in comune con altre condizioni patologiche. Il rifiuto attivo, arrabbiato, deliberato e consapevole di impegnarsi in qualsiasi attività è, tuttavia, una caratteristica peculiare. Come, la sindrome da rifiuto pervasivo differisce da altri disturbi psichiatrici funzionali o organici?
Anoressia nervosa – il rifiuto non è limitato o concentrato sul cibo e la paura di un immagine corporea grassa, anche le distorsioni percettive non sono una caratteristica importante. La motivazione è il rifiuto del cibo piuttosto che la perdita di peso e altri metodi di perdita di peso non sono generalmente evidenti.
Mutismo Selettivo – I pazienti con sindrome da rifiuto pervasivo di solito sono selettivamente muti, si rifiutano di andare a scuola e non stanno facendo bene in altre attività.
Disturbi Somatoformi – c’è il rifiuto di partecipare ad attività e il comportamento di ricerca d’ aiuto sembra essere assente.
Depressione – rallentamento psicomotorio e disturbi del sonno non sono preminenti e le variazioni di umore da un contesto ad un altro è comune con il trattamento.
Disturbi catatonici – l’ immobilità non è associata con marcato ritardo psicomotorio generalizzato o aumento del tono muscolare, la mancanza di parola è di solito selettiva e il ritiro sociale non è associato con
ipervigilanza, allucinazioni, deliri o eccitazione imprevedibile.
Trattamento
Le fasi iniziali del trattamento riguardano come tutti i disturbi alimentari acuti, il contenimento, e, il garantire la sicurezza e il miglioramento della salute fisica. Per il trattamento efficace della sindrome da rifiuto pervasivo, gli interventi devono essere integrati e comprendere i fattori fisici, sociali e psicologici. Il ricovero è quasi sempre necessario. Un piano di riabilitazione multidisciplinare integrato e, chiaramente sviluppato e documentato, è essenziale. L’ alimentazione artificiale è di solito richiesta in caso di completo
rifiuto di ogni assunzione orale. Il recupero comporta un molto graduale processo di riabilitazione. Di solito i sintomi che compaiono prima, sono gli ultimi a risolversi. Ad esempio, se il rifiuto del cibo è stato uno dei primi segni, il mangiare normale di solito non riprenderà fino alla risoluzione degli altri sintomi. Il mutismo ha spesso una risoluzione rapida. La maggior parte dei pazienti affetti da sindrome da rifiuto pervasivo raggiungono il recupero completo o quasi completo con una terapia adeguata. I tempi di recupero possono essere correlati alla durata della malattia. Casi acuti possono vedere il recupero completo durante le prime settimane di ricovero, anche se generalmente il recupero richiede circa un anno. Malattie di diversi anni possono aver bisogno di più di due anni per raggiungere buoni progressi.
L’identificazione precoce così come l’attenzione al contesto emotivo, sociale, familiare e le problematiche fisiche sono il focus determinate. Un approccio integrato e integrante, rivolto sia al sé del paziente, alle sue relazioni con il mondo, tanto che al vissuto della fisicità, e dell’emotività repressa ed esplosiva, risulta importante e preferibile, alla classica relazione duale.
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