Con la consulenza della dott.ssa Sabrina Franzosi, psicologa clinica e di comunità
“Dovrei buttarla, ma chissà magari potrebbe servirmi!”. Quante volte lo abbiamo detto dinnanzi a quella pila di scarpe e di vestiti che non indossiamo mai, ma che restano lì ormai da decenni ad affollare i nostri armadi, i nostri cassetti e le nostre polverose cantine? Consideriamo tutto indispensabile. Le copie di vecchi giornali, il maglione indossato alla festa del liceo anni fa e persino il biglietto aereo dell’ultimo viaggio fatto con il nostro ex, che nel frattempo ci ha lasciate e ha trovato il tempo di metter sì su famiglia, ma con un’altra. Per non parlare poi di quella mania, strana, ma molto diffusa, di conservare i biglietti di auguri o le candeline di compleanno. Cianfrusaglie e vecchie scartoffie, delle quali difficilmente riusciamo a liberarci. Le consideriamo una parte di noi, un pezzo della nostra vita. Ma perché abbiamo l’abitudine di conservare oggetti inutili? “La difficoltà di disfarsi di vecchi oggetti e ricordi- ci spiega la dottoressa Sabrina Franzosi- è molto comune. Spesso gli oggetti sono il ricordo di una situazione, di una persona, di un periodo. Altre volte possiamo ritenerli utili per un futuro e, a volte, accade realmente! Piccoli comportamenti di accaparramento sono presenti in tutti noi”.
Il disturbo
Ognuno di noi è tentato a non buttare via le cose e a conservare tutto. Ma attenzione. Questa cattiva abitudine può trasformarsi in una vera e propria ossessione. Un disturbo chiamato Oltreoceano Hoarding, disposofobia, sindrome dell’accumulo compulsivo o della soffitta piena. Ma come distinguere la semplice tendenza a non riuscire a disfarsi degli oggetti dal vero e proprio disturbo? “Possiamo parlare di disposofobia nel momento in cui le normali attività dell’individuo e l’igiene dell’ambiente domestico sono seriamente compromessi dal catasto di oggetti inutili come spazzatura, carta, vecchi abiti, soprammobili, oggetti rotti... Nel momento in cui si presentano condotte di accumulo e la persona sente di non essere più in grado di gestirle, che la situazione “le stia sfuggendo di mano”, ritengo utile rivolgersi ad uno specialista per una consulenza psicologica. Può trattarsi di un periodo circoscritto ad un momento di vita particolarmente difficile e, in tal caso, il sostegno di uno psicologo risulta essere comunque fondamentale per affrontare al meglio il momento difficile. Nel caso peggiore, può trattarsi di un comportamento che, se non trattato tempestivamente può sfociare nell’aggravamento e nella cronicizzazione, fino ad arrivare al punto in cui la persona sarà sempre più restia a spezzare il circolo vizioso dell’accaparramento.
Le cause
Quali sono i fattori che possono far sorgere la patologia? “Finora la disposofobia è stato considerato un disturbo della famiglia dei disturbi ansiosi, ma a fronte delle ultime ricerche sembra che sia lecito considerarlo un disturbo a se stante. Dalle ultime ricerche, appunto, sembra emergere un’incapacità neuronale di decisione che porta l’individuo alla conclusione ‘lo tengo qui da parte, potrebbe sempre servirmi’: la persona non vuole accumulare, ma ha una vera e propria difficoltà nel discernere l’utilità/inutilità dell’oggetto che ha davanti”.
Identikit di un accumulatore seriale
“I fattori maggiormente riscontrati in chi soffre di disposofobia sono: la familiarità del disturbo. Nell’85% dei casi l’individuo con accaparramento patologico ha un membro della famiglia con lo stesso disturbo. La presenza di eventi stressanti come un divorzio o un lutto; e altre problematiche psicologiche in concomitanza: fobia sociale, fobie specifiche, ansia e depressione. Dagli studi di un esperto in materia, lo psicologo Randy Frost, emerge che gli accumulatori patologici sono estremamente coinvolti nei confronti dei loro oggetti al punto di considerarli come parte della propria persona e della propria storia. Chi è affetto dalla sindrome da soffitta piena assegna ad un gran numero di oggetti un valore sentimentale e una probabile utilità futura che rende loro impossibile sbarazzarsi di essi”.
La cura
Guarire dal disturbo della sindrome della soffitta piena si può. Esistono terapie sia farmacologiche che psicoterapeute capaci di aiutare l’accumulatore compulsivo a riconsiderare il suo rapporto con gli oggetti. “I farmaci possono alleviare l’ansia che l’individuo prova nel separarsi dagli oggetti, oltre che a regolarne il tono dell’umore. Attraverso il trattamento psicoterapeutico di tipo cognitivo comportamentale lavorando insieme al paziente sui pensieri disfunzionali e sulla modifica dei comportamenti di accaparramento nella realtà quotidiana, i cambiamenti saranno più radicati nella persona e, quindi, più duraturi”.
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